Per tutta la giornata Giorgia Meloni non riesce a dire una parola sull’ennesimo passato che non passa a casa sua. La premier che si dichiara «non ricattabile» da Berlusconi e dalle reti Mediaset, «non ricattabile» da chi «in questa nazione è abituato a dare le carte», non riesce a dire una cosa, una cosa anche di destra normale, sulle centinaia di saluti romani che domenica sera si sono alzati in via di Acca Larentia, quartiere Tuscolano di Roma, alla commemorazione dell’omicidio di tre militanti del Fronte della gioventù, la giovanile del Msi – Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, uccisi da estremisti di sinistra, al terzo, Stefano Recchioni sparò un carabiniere negli scontri successivi, il 7 gennaio 1978, per il terrorismo di destra è considerata una data fondativa.

Le immagini hanno fatto il giro di mezzo mondo. Meno cliccate, ma più impegnative per Meloni, sono quelle di una ventina di reduci che salutano altrettanto romanamente la mattina, davanti agli occhi di alcuni suoi dirigenti di partito. Lei non dice una parola. Parla invece l’alleato Antonio Tajani e scava un solco fra chi, al governo e in maggioranza, tace e chi no: Forza Italia, dice, è «un partito antifascista. Chi ha avuto un comportamento del genere deve essere condannato da parte di tutti, come devono essere condannate tutte le manifestazioni di sostegno a dittature. C’è una legge che prevede che non si possa fare apologia di fascismo nel nostro paese, è vietato dalla legge». Parole pesanti che aggiungono legna al fuoco dei litigi interni alla destra. E ricordano a Meloni cosa deve fare una leader che vuole presentarsi in Europa con il passaporto democratico in regola.

Presente, presente, presente

Le commemorazioni sono state quattro. La prima istituzionale, alle 9 di mattina, nel piazzale vicino all’ex sede Msi (ora sede di CasaPound), alla quale hanno partecipato, fra gli altri, il presidente della regione Lazio Francesco Rocca, la sua vicepresidente Roberta Angelilli, l’assessore alla Cultura di Roma Miguel Gotor, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli. Regione e comune hanno depositato le loro corone. Subito dopo c’è stata la commemorazione di FdI, stavolta davanti all’ex sede Msi. Le immagini raccontano del gruppone di “fratelli” che assiste ai saluti romani di un gruppo di vecchi arnesi: vi si riconoscono Domenico Gramazio, “il Pinguino”, figura storica della destra romana, e un altro vecchio camerata, Filippo Pepe detto Lippo. Quelli di Fdi aspettano il loro turno per una commemorazione che, riferiscono in molti – erano una cinquantina – è stata composta e silenziosa. Nel tardo pomeriggio lì si presenta lo squadrone in camicia nera che urla tre volte «presente» alzando il braccio. Contemporaneamente a Villa Glori, al parco della Rimembranza, marciano con torce e per file parallele i giovani di Fdi, la Gioventù nazionale.

Dalla sera di domenica il Pd attacca alzo zero. Inizia la consigliera regionale Emanuela Droghei, chiede a Rocca di dissociarsi dal carnevale nero. Lui – che l’anno scorso ci ha messo un mese per licenziare Marcello De Angelis da portavoce della regione, un giovanotto già condannato per associazione sovversiva ma soprattutto recente autore di post antisemiti – minaccia querele anziché stigmatizzare i neofascisti. La prima scena di saluti romani si è svolta subito dopo la cerimonia ufficiale, lui racconta che aveva già girato l’angolo della via. Ma le foto dicono che c’era la sua vice.

La falange del secolo scorso

Ieri le opposizioni cannoneggiano per tutto il giorno. Il Pd presenta un’interrogazione al ministro dell’Interno Piantedosi. Elly Schlein parla di «immagini impressionanti», di uomini «schierati quasi in una sorta di falange come nelle immagini di repertorio del passato regime». Chiedono di punire, come da legge, l’apologia di fascismo e di «attivare le procedure atte allo scioglimento dei gruppi neofascisti». È possibile, chiedono i dem, che il loggionista della Scala di Milano che ha gridato «viva l’Italia antifascista» è stato subito identificato, e in questo caso le forze dell’ordine non si sono mosse? Almeno finché il M5s non annuncia un esposto per chiedere se le immagini di domenica non rientrino nel reato di apologia del fascismo. A questo punto come per incanto filtra che a piazzale Clodio si aspetta un’informativa della Digos: che la polizia ha filmato i raduni e che la scientifica le sta passando al vaglio.

«Noi non li facciamo»

La dissociazione resta strozzata in gola a FdI. Il deputato Federico Mollicone viene intercettato da La7 cronisti fuori da Montecitorio, ma riesce a dire poco. Solo che il fattaccio dei saluti romani «esula dalla commemorazione istituzionale» ma quanto a condanne: «Io non faccio il magistrato, se ravvedono che ci sono stati reati vanno perseguiti». FdI in serata fa una nota ufficiale: «Utilizzare il ricordo della tragica morte di tre ragazzi ammazzati dall’odio comunista (due, il terzo dalle forze dell’ordine, ndr) per fare bieca propaganda è squallido e vigliacco».

L’unico a parlare in chiaro è Rampelli: la manifestazione in camicia nera era fatta di «persone di varia provenienza, organizzazioni extraparlamentari. Non hanno niente a che vedere con FdI. Noi da più di vent’anni non partecipiamo. Come ogni anno, facciamo la nostra celebrazione e poi andiamo via. Noi non facciamo saluti romani, nessuno di noi ne ha fatti, per scelta e non per convenienza, da sempre e non da oggi perché stiamo al governo. Fare saluti romani non ci appartiene. E non si tratta di una semplice dichiarazione, che non si nega a nessuno, ma di una decisione tangibile. Tant’è che non abbiamo rinunciato al nostro ricordo di Bigonzetti, Ciavatta e Recchioni, uccisi con ferocia 46 anni fa da un commando comunista (due, ripetiamo, non il terzo, ndr), ma istituito due momenti alternativi: la mattina del 7 una rappresentanza ufficiale di FdI si reca a deporre tre cuscini, il pomeriggio Gioventù nazionale organizza una fiaccolata sul quadrante opposto della città, a villa Glori».

Resta il silenzio rumoroso di palazzo Chigi. In passato Meloni è stata «presente» a quelle commemorazioni, Dagospia ne ha ripescato i filmati. Da due anni non ricorda più pubblicamente la data, neanche sui social. Ma a condannare i saluti romani, no, anche stavolta, non ci riesce. O forse non può rischiare di dispiacere al nucleo storico del suo elettorato. Fedele, ma forse non a ogni costo.

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