Come era stato previsto da molti osservatori, Giorgia Meloni, con il suo Ecr, è rimasta completamente ai margini della trattativa per le nomine europee. I risultati delle elezioni hanno confermato la non decisiva crescita delle destre, che hanno conquistato un numero di seggi ancora insufficiente a forzare un cambiamento radicale nelle strategie dei gruppi principali.

Così, la nuova Europa sognata da Meloni, che sarebbe dovuta scaturire da una nuova coalizione capace di sostituire quella per lei “innaturale” tra popolari, socialisti e liberali, non sembra realizzabile. I numeri negano impietosamente questa possibilità. L’alleanza tra i popolari e i due gruppi di destra si avvicina ma non raggiunge la metà dei seggi nel Parlamento europeo, mentre ci riesce ancora una volta quella “innaturale” tra socialisti, popolari e liberali.

Fino all’ultimo, tuttavia, commentatori e politici, soprattutto in Italia, hanno ipotizzato un cambiamento di rotta dei popolari e una rottura dell’alleanza “contro natura” con gli altri due gruppi del nucleo europeista nel Parlamento europeo. Ma è davvero così innaturale tale alleanza?

Esempi di alleanze tra socialisti e popolari ce ne sono molte. Tra i tanti, emerge il caso delle grandi coalizioni tedesche dirette da Kurt Georg Kiesinger tra il 1966 e il 1969 e poi per ben tre volte da Angela Merkel tra il 2005 e il 2021, con una parentesi tra il 2009 e il 2013 quando governò con i soli liberali dello FDP.

Ma forse la più solida è proprio quella nel Parlamento europeo. A livello europeo le dimensioni principali della competizione politica sono almeno due: oltre alla dimensione economica sull’asse sinistra-destra c’è anche quella politico-istituzionale sull’asse europeismo-sovranismo. Rispetto a questa seconda dimensione la convergenza di posizioni tra i popolari e gli altri due gruppi del nucleo europeista è massima e sicuramente compensa le non decisive divergenze sulla dimensione economica.

Convergenze naturali

Due coppie di studiose/i Brack e Marié e Hix e Noury hanno calcolato la convergenza tra il Ppe e tutti gli altri gruppi nelle votazioni in seduta plenaria per la legislatura appena conclusa del Parlamento Europeo. I due studi producono simili risultati. I liberali, in sintonia con il Ppe all’81 per cento, sono i più vicini. Seguono i socialisti (74 per cento). I conservatori di Meloni (63 per cento) sono solo terzi. E i sovranisti? Ultimi (47 per cento) dopo verdi (62 per cento) e comunisti (51 per cento). A essere innaturale pare proprio la sostituzione dei socialisti con i due gruppi di destra.

Le speranze di Meloni e delle destre sono state frustrate dall’inequivocabile atteggiamento degli schieramenti, anche partitici, dei capi di governo. Dopo il cancelliere tedesco Scholz che l’ha di fatto emarginata definendola "all'estrema destra dello spettro politico", anche il premier polacco Tusk ha escluso a nome dei popolari ogni coinvolgimento di Meloni.

L’accordo in realtà non è stato ancora raggiunto. Da quanto trapela, i popolari, forti del buon risultato ottenuto e imbaldanziti dallo speculare insuccesso socialista, hanno inserito nel pacchetto delle nomine richieste senza precedenti. La più irrituale sarebbe la conferma di Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento europeo, che di per sé avrebbe già il precedente di Martin Schulz, confermato all’inizio della ottava legislatura, ma con un mandato senza precedenti per tutta la legislatura e non per la sola prima metà.

È lecito pensare che la spavalderia dei popolari sia dovuta anche alla finora negata, ma sottotraccia sempre ipotizzabile, apertura a destra. La prossima settimana un compromesso verrà trovato con soluzioni meno favorevoli ai popolari rispetto a quanto hanno richiesto, ma certamente più vantaggiose che in passato. Si potrà allora dire che dopotutto un ruolo nelle nomine europee le destre lo avranno avuto. Ma non come parti attive, bensì come strumenti.

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