Solo a sera, sono passate le sette, il sito ufficiale della regione Sardegna si arrende: Alessandra Todde, candidata presidente di M5s e Pd, passa al comando contro Paolo Truzzu, candidato della destra, fortissimamente voluto da Giorgia Meloni contro Matteo Salvini, che ha resistito al fianco dell’uscente Christian Solinas nonostante l’evidenza degli scarsi risultati – lo dicono ormai anche i suoi e fino a un’indagine per corruzione. Todde si è avviata così a diventare presidente della Sardegna, la prima dei Cinque stelle. La conta dei voti non si è ancora conclusa, ma all’alba di martedì – con 1822 sezioni su 1844 – il vantaggio di circa 3mila voti sembra ormai incolmabile.

Per tutto il giorno i dati sono stati lenti, lentissimi. Alle cinque del pomeriggio sono stati caricati i risultati dei piccoli centri, non quelli delle grandi città. È un complotto, tuona il comitato Todde, al quartier generale di via Dante, scelgono «di non caricare i dati dei grandi comuni saremmo molto avanti», è una «voluta strategia comunicativa» per allungare «sino a domani (martedìi, ndr) l’incertezza sul vincitore».

Per una volta hanno ragione. In effetti gli uomini-macchina del centrosinistra soffiano ai cellulari scrutini conclusi, Todde vince a Cagliari, Sassari, Quartu, che da soli pesano un quarto dell’elettorato. E chi vince lì vince e basta. E Todde lì è avanti mediamente dai 15 ai 20 punti. Invece il sito dice che il candidato della destra, Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari ha il 46,1 e lei al 44,6. Sul sito del comune di Sassari ci sono dati che non risultano alla regione. Un rebus.

Fino all’ora di pranzo alla sala stampa della regione Sardegna, arredata con piante di mirto palme e alloro, il tabellone resta inchiodato a zero seggi scrutinati. Invece dal comitato Todde arrivano messaggi di «è fatta». In tv Maurizio Gasparri perde la baldanza: «La situazione non mi pare positiva». Ma a fare imbufalire davvero qualcuno che in quel momento sta a palazzo Chigi è un uomo della presidente Giorgia Meloni, Salvatore Deidda, dominus di FdI sardo. Arriva al comitato di Truzzu, all’Hotel Regina Margherita, e sventola bandiera bianca: «Paghiamo il fatto che forse in cinque anni non abbiamo governato proprio brillantemente. Su Cagliari mi aspettavo questo risultato, sapevo che non sarebbe stata una passeggiata».

Aprito cielo: dopo poco è costretto ad attenuare: l’ordine di scuderia è «non abbiamo ancora perso», «c’è un testa a testa fra i candidati».

Il crollo di Cagliari

Ha ragione Deidda: il risultato di Truzzu nella sua città è pessimo e annunciato. Basta prendere un caffé al bar, un giornale da un edicolante, per sentirselo dire. Persino i vicini di casa del sindaco, nel quartiere bene intorno al vecchio stadio Amsicora, quello dello scudetto di Gigi Riva, dicono «brava persona, ma ha fatto un disastro»: città ferma, traffico immobile, commercianti in rivolta per i cantieri. Tassisti imbufaliti.

Allora perché Meloni ha imposto un uomo senza qualità né consensi? Il suo comitato resta tutto il giorno vuoto, il generoso buffet avanza, i cronisti in trincea si sono spostati a via Dante dalla vincitrice in pectore, Truzzu resta a casa sua, i dirigenti di destra girano alla larga. Non restano che i cittadini passanti: «Perché era l’unico presentabile», «perché lei era convinta di vincere, credeva fosse una passeggiata di salute». Lei, la premier, è venuta una volta «45 minuti in tutto», al comizio di chiusura della campagna elettorale, credeva bastasse il suo volto sui muri e sugli autobus, «Forte e Fiera». Da lunedì un po’ meno forte.

I dati al ralenti rallentano il crollo, le danno il tempo di prepararsi all’impatto: dall’orizzonte, dal largo del Mar di Sardegna il bollettino dice «burrasche», a grandi colpi d’ala si avvicina il corvo nero della sua prima sconfitta elettorale. Si interrompe di colpo la marcia dell’invincibile, finito il vento in poppa. La storia di «io sono Giorgia» rischia di diventare «io ero Giorgia».

A metà pomeriggio Giuseppe Conte, che da ore è in procinto di partire da Roma per entrare trionfante nella foto della vittoria della “sua” candidata, rompe gli indugi e prende l’aereo: «Si va al fotofinish. Che si vinca o che si perda, sarà stato comunque un risultato straordinario e Alessandra Todde merita l’abbraccio di tutta la nostra comunità».

Dietro di lui Elly Schlein si precipita a Fiumicino: affidarsi alla candidata grillina è stata una scommessa tutta sua, non può lasciare a Conte il successo. Renato Soru, terzo incomodo, cerca di capire se è riuscito a fare fallire la festa: alle sette ha l’8,7 per cento, solo lo 0,7 in più delle sue liste (inchiodate a prefissi telefonici). Il voto disgiunto c’è stato, ma non su di lui. A quest’ora Truzzu prende 4 punti in meno della sua coalizione, Todde 3 in più: a destra qualcuno ha votato il suo candidato ma non il presidente. Scuote la testa Fabio Meloni, capo ufficio stampa di Truzzu: «Sarebbe un voto psichiatrico: significa non far scattare il premio di maggioranza e non far eleggere un po’ di consiglieri».

Lega sotto accusa

Ma è andata così. E Lega e Psdaz, Salvini e il trombato Solinas, sono gli imputati. Per le loro due liste è un tonfo nell’abisso. Così in basso da non poter neanche strillare contro la premier per il candidato sbagliato. Il resto hanno fatto le risse nella maggioranza, qui dicono «kentu concas, kentu berrittas». Solo Forza Italia veleggia sul sette per cento e infatti Giorgio Mulé minaccia: «Basta cambi in corsa di candidati, in Basilicata deve restare il nostro Bardi». Da oggi Meloni deve fare i conti con gli alleati. Era convinta di zittirli, ha ridato loro fiato.

A sera lo spoglio lentamente accelera. Lo staff di Todde tuona di nuovo: dopo 11 ore la regione ha comunicato la metà dei dati delle 1.844 sezioni: c’è «mancanza di rispetto per gli elettori». Sergio Loddo, direttore del servizio elettorale, si difende: «Alcuni comuni più grandi, come Cagliari e Sassari, hanno avuto dei ritardi». Verso mezzanotte i risultati sembrano assestarsi, con Todde sempre avanti. Al mattino di martedì si arriva a un 45,3 per cento contro il 45 per cento.

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