Il primo fu Piero Angela. Uscendo dal Quirinale l’11 maggio scorso spiegò che era stato onorato della nomina di cavaliere di gran croce e che aveva chiesto al presidente solo una cosa: restare al Quirinale per un mandato bis. Da lì in poi è stato un ritornello continuo in quel tour de force di commiati che ha descritto oggi Ugo Magri sulla Stampa. L’ultimo è stato ieri papa Francesco.

«Grazie per la sua testimonianza», ha sottolineato Bergoglio quando è stato sicuro di essere ripreso dalla telecamera e dall’audio del Centro televisivo vaticano. Che cosa può dire di più elogiativo un papa a proposito di un cattolico in politica? Dire “bis” avrebbe scatenato una polemica sulle ingerenze mentre così il messaggio è chiaro…

Hanno invece detto bis, e a gran voce, già a fine agosto i cittadini che affollavano la platea del Rossini Opera Festival di Pesaro. I napoletani che lo hanno acclamato per strada a Pozzuoli a settembre. Poi i sindaci dell’Anci a Parma ai primi di novembre. Senza contare i romani in coda con lui per il vaccino, che si sono discretamente avvicinati per dire: resti presidente. E coloro che sono stati premiati come esempi civili e i giovani alfieri della repubblica, tutti in visita in questi giorni al Quirinale.

La sera di Sant’Ambrogio il bis caloroso richiesto dal pubblico della Scala è arrivato a sottolineare (per l’appunto e verdianamente) un coro generale. Persino Valentino Rossi, ricevuto a palazzo insieme agli altri piloti del MotoGp, ha voluto dire che lui tifa per il bis. Senza sottovalutare la piazza sindacale di ieri

Sergio Mattarella però insiste nel declinare la richiesta e come ha detto ieri al corpo diplomatico, dice a tutti: «Vi saluto per un commiato». In fondo anche l’Economist e il Financial Times vorrebbero il “bis”. Ma Sergio Mattarella è il tipo antropologico del siciliano di origine normanna, alto, occhi azzurri e silenzioso di carattere, che non è proprio facile da convincere.

7 ANNI DOPO, LA NEMESI DEL NAZARENO

Saranno anche coloro che decidono la partita del nuovo presidente ma i leader del centrodestra appaiono quanto mai lontani l’uno dall’altro. Prendete Matteo Salvini: è partito con la sua iniziativa per mettere i leader intorno ad un tavolo per una soluzione condivisa. “Hanno detto tutti sì”, ha confermato con orgoglio il capo della Lega. Ieri ha anche precisato che il tavolo inizierà nei primissimi giorni del nuovo anno.

Poi ha riservato una frecciatina a Giorgia Meloni: «In Italia ci sono sessanta milioni di patrioti. Non sto lì a guardare l’aggettivo», ha detto ieri da Palermo. È la solita linea di frattura all’interno del centrodestra? O c’è di più?

Intanto Silvio Berlusconi è preoccupato per i suoi alleati, perché gli hanno fatto capire che prima di votare bianca, bianca, bianca nelle prime tre chiamate, come lui ha chiesto, vogliono essere sicuri che ci siano davvero i voti per lui alla quarta. Dunque risulta decisivo Matteo Renzi e il suo gruppo (43 voti), senza il suo sì non ci sono speranze, scrivono Wanda Marra e Giacomo Salvini sul Fatto. È la terribile Nemesi del Quirinale: tornare a quel patto del Nazareno che l’ultima elezione mandò in archivio. Allo scopo sarebbe stata approntata un’apposita missione di Gianni Letta.

DIMENTICARE SARAGAT?

A proposito di Letta, Augusto Minzolini, direttore del Giornale, se l’è presa moltissimo con Enrico, il segretario del Pd. Ieri, come già ricordato qui, il leader dei democratici aveva attaccato in modo ragionato la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale, dicendo al Corriere: “Mai un capo di partito al Colle”.

Minzolini ha consultato l’elenco dei 12 presidenti e ha trovato Giuseppe Saragat, fondatore e segretario del partito socialdemocratico italiano. È una “fake”, ha scritto nel suo editoriale stamattina. Saragat era un capo partito. Vedremo se ci sarà replica.

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