«Un padre ha il diritto a dar la vita, non a dare la morte ai figli. Quindi non esiste la possibilità che uno si arroghi il diritto, con prepotenza, di determinare l’estinzione». Giuseppe Conte, da Cesena, lancia un’altra rispostaccia all’invito di Beppe Grillo a non votare M5s in Liguria. Il comico in pratica chiama al sabotaggio a urne aperte. Una campagna elettorale oltre i limiti dell’autolesionismo, quella del “movimento”: a fine settembre il presidente ha dato la mazzata iniziale, chiedendo e ottenendo la cacciata dei renziani dalle liste a poche ore dalla chiusura dei termini; ora il fondatore sferra la randellata finale, rivendicando per sé, il «creatore», il diritto «all’estinzione del M5S». Mai successo: in un voto cruciale per la Regione e per i destini incrociati degli schieramenti nazionali, uno dei partiti principali si avvita in una chiassosissima scissione. L’effetto sul suo elettorato sarà uno scatto d’orgoglio, o un avvilimento da Otto settembre «tutti a casa»?

Imperia swing state

Era una giornata di interrogativi, quella di domenica, come sempre a una vigilia. Eccone un altro: è l’allerta arancione ad abbassare la percentuale dei votanti in provincia di Imperia, o è il venticello dell’insofferenza nella destra ligure, misurabile nel feudo di Claudio Scajola, stato nello stato che fa di quel territorio lo “swing state” della Regione? Il primo dato dell’affluenza, quello delle ore 12, viene interpretato in maniera opposta dagli opposti aruspici. Leggera flessione generale, a quell’ora aveva votato il 13,6 per cento contro il 13,96 del 2020. Ma il numero attenzionato è appunto quello di Imperia: il 10,31 contro il precedente 12,97. Alle 19 l’affluenza resta bassa: 30,42 contro il precedente 32,04. E a Imperia scende ancora: il 23,19 contro 29,57 della scorsa tornata.

Certo è che i due principali candidati, Andrea Orlando per il centrosinistra e Marco Bucci per la destra (ce ne sono altri sette, fra loro il trozkista Marco Ferrando e l’arcigrillino Nicola Morra), sanno che fino a lunedì alle 15, quando si chiuderanno le urne, lo sforzo da fare è motivare i propri elettori: alle ultime europee qui ha votato il 50,61 per cento; alle ultime regionali il 53,42. Alle europee la somma delle forze di centrosinistra è stata superiore alla destra. Ma stavolta a vincere sarà chi riporta i suoi al voto. Infatti domenica mattina entrambi, dai seggi, hanno lanciato appelli: «Votare è un diritto, ma anche un dovere per decidere il presente e il futuro della Liguria. Votate e invitate a votare tutti e tutte», l’ex ministro. Il sindaco di Genova: «Votare è un’espressione di democrazia e libertà, ogni voto può fare la differenza». Il voto di Genova pesa quasi la metà sul milione e trecentomila degli elettori. Lì si giocherebbe il testa a testa fra i due. Alle scorse comunali, Bucci ha vinto al primo turno. Ma se fosse davvero un testa a testa, e se la vittoria si giocasse davvero sul filo di pochi punti percentuali, dopo, da una parte e dall’altra si aprirebbe la Norimberga interna, con relative accuse di crimini politici.

Fattori Renzi e Morra

Orlando ha macinato chilometri e lanciato il cuore oltre l’ostacolo. Domenica è stato aspettato al seggio dal partigiano Elio Ferrari, 102 anni, dritto come un fuso, stretta di mano piena di significati. La vittoria serve alla Liguria per uscire dal tunnel dell’amministrazione Toti, alla sinistra ligure, ma anche alla coalizione nazionale: sarebbe la chiusura tombale dell’idea di allargamento della coalizione a Italia viva, per la gioia di Conte. Quale ruolo potrebbe più ricavarsi Matteo Renzi? Le porte di Forza Italia sono chiuse, non gli resterebbe che provare a far fallire il centrosinistra che lo esclude, in qualche modo lo ha già minacciato.

Viceversa una sconfitta di misura restituirebbe la parola al Pd corrente riformista rimasto muto sui diktat di Conte solo per disciplina, per non scatenare risse in campagna elettorale (accortezza ignota ai Cinque stelle). Renzi o non Renzi, resterà aperto il tema dei moderati: in Liguria Azione corre in una lista civica, un buon risultato può consegnare a Calenda la possibilità – niente più che la possibilità – di riaprire un cantiere. A bordo campo si scalda Elena Bonetti, l’ex ministra vicina all’Agesci (guarda caso era sul palco genovese con Orlando, venerdì scorso).

Una sconfitta riaprirebbe soprattutto la discussione su chi deve guidare la coalizione: ma solo dopo il voto di Umbria e Emilia-Romagna. E anche se il centrosinistra riuscisse a recuperare l’Umbria. Dopo il risultato smagliante del Pd alle europee (il 24,1 per cento), il Nazareno ha messo in circolo la convinzione che lo scettro spetti di diritto a Elly Schlein, cioè alla leader del primo partito dello schieramento. Ma questo ha aumentato l’irritazione di Conte: non è d’accordo, pensa alle primarie di coalizione. M5s ha meno della metà dei voti dem, ma con Avs arriva quasi alla soglia del Pd. Certo nel voto misura il peso di Grillo nel risultato di Morra, che ha fatto una campagna tutta contro i suoi ex compagni di movimento.

Il peso di Meloni e di Toti

Nello schieramento opposto, una vittoria verrebbe presa come la prova dell’irresistibile ascesa della premier Meloni. Ma anche qui bisognerebbe guardare i numerini interni: l’eterna sfida fra Lega e FI, il peso dei candidati targati Toti (soprattutto Stefano Anzalone, il consigliere regionale tuttora indagato per voto di scambio), anzi “l’effetto Toti”, che ha patteggiato in piena campagna elettorale: un tiro sinistro per la destra, che ha costretto a silenziare di colpo tutta la narrativa anti-magistrati. Una sconfitta sarebbe imputata alle avverse condizioni di partenza: l’inchiesta, l’arresto del presidente, il suo patteggiamento. Ma a questo punto tutta la responsabilità ricadrebbe sulla premier che ha scelto il candidato Bucci con un colpo di mano. Con quella volontà di imporre nomi che anche a Roma provoca guai.

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