Il governo è intervenuto per limitare in modo grave il diritto di sciopero, precettando i lavoratori. Matteo Salvini, che è il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti ma anche il vicepresidente del Consiglio, può darsi speri di sottrarre un po’ di visibilità a Giorgia Meloni: scavalcandola a destra.

Dichiara, addirittura, che avrebbe agito anche senza il parere della Commissione di garanzia (che pure per molti non è stata imparziale). Salvini si assume quindi la piena paternità dell’ordinanza di precettazione, ne rende chiaro a tutti il significato politico. Il suo partito aggiunge parole di insulto verso i lavoratori che scioperano e verso i sindacati: «Landini vuole farsi il weekend lungo».

È soltanto un episodio? Nei paesi che hanno visto progressivamente cadere le proprie libertà, l’attacco al diritto di sciopero è una tappa fondamentale: il primo passo, spesso, perché è nella forza organizzata del movimento dei lavoratori che si trova, di solito, l’opposizione sociale più forte ai governi autoritari di destra e perché – contrariamente a quel che recita una certa vulgata – diritti sociali e libertà civili e politiche si tengono tutti insieme: di solito è stato così negli ultimi centocinquant’anni, in generale, e nella storia d’Italia in particolare.

Un governo invasivo

Questo attacco al diritto di sciopero, con fare pretestuoso e condito di insulti, lede quindi in modo serio le libertà degli italiani, di noi tutti, punta a minare le fondamenta della costituzione democratica. Se anche fosse un solo episodio, non andrebbe sottovalutato. Ma non è un solo episodio.

Sin dall’inizio, questa maggioranza ha messo nel mirino il pluralismo dell’informazione. La Rai ha perduto in poco tempo tutte le sue voci più autorevoli non allineate con il governo. Tutte. E i giornali indipendenti, che non risparmiano critiche ai ministri, vengono intimiditi con le querele. Poi, certo, oggi il duopolio Rai-Mediaset non è più tale (per fortuna) e anche le reti televisive contano meno che in passato, nell’orientare l’opinione pubblica. E contano meno anche i giornali (purtroppo).

Ma sarebbe miope non vedere il tentativo del governo di controllare politicamente l’informazione, in tutti i luoghi e le forme in cui gli è possibile. Con una pervicacia, attenzione, che non si vedeva in Italia da almeno mezzo secolo. L’invasività del governo nel mondo della cultura, il modo in cui vengono trattate importanti istituzioni culturali (si pensi al Piccolo di Milano), è altrettanto preoccupante: rivelatrice.

La deriva

Ma c’è dietro un disegno più ampio, che punta a scardinare il nostro assetto democratico per trasformarci in un paese semi-autoritario? Non possiamo escluderlo, e non dobbiamo. Intanto, perché i modelli internazionali di Meloni, e di Salvini, questo fanno, ovunque nel mondo. Secondo, per il disegno di riforma costituzionale, che altera profondamente l’equilibrio dei poteri.

È una riforma così contraddittoria, anche con le sue intenzioni, che viene criticata perfino da esperti considerati vicini alla maggioranza. Ma Meloni ha già lasciato intendere che si prepara al referendum. Si giocherà tutto.

E tantopiù perché la riforma è pessima, c’è da credere, punterà al controllo dell’informazione, per vincere con una propaganda a tappeto. A quel punto non avrà più argini. Nel frattempo Salvini ha messo in chiaro che, da quelle parti, l’alternativa a Meloni non è certo migliore. Contro queste destre, la partita per salvare la nostra democrazia e le nostre libertà è incominciata: va dal lavoro all’informazione, dalla cultura alle istituzioni.

© Riproduzione riservata