Il Pnrr, ormai assurto a una sorta di psicodramma nazionale, è ancora una volta al centro di una discussione che appare alimentarsi solo di posizioni preconcette, come quelle di chi è corso in soccorso del governo in occasione della presentazione di un emendamento, ancora a un decreto-legge, volto a sottrarre il Pnrr e i piani nazionali connessi al controllo concomitante della Corte dei conti.

Il controllo concomitante della è sicuramente uno strumento controverso. È stato introdotto nel 2009 e per lungo tempo non è stato attuato, anche perché andava in senso contrario a una tendenza a semplificare e ridurre i controlli rimasti in vita, come controlli preventivi, solo per gli atti delle amministrazioni centrali.

Per il resto la Corte si concentrava su controlli successivi, sulla gestione del bilancio dello Stato o sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.

Il controllo concomitante riapre la questione della commistione nelle competenze della Corte dei conti, tra funzioni di controllo e funzioni giurisdizionali di attivazione di responsabilità erariali, commistione che può limitare l’autonomia decisionale delle amministrazioni. È vero che questo controllo non conferisce alla Corte immediati poteri sanzionatori, ma c’è sempre il timore di successivi interventi di condanna per responsabilità amministrativo contabile.

Il controllo concomitante è stato richiamato in vita dal governo Conte-2 nel 2020 (decreto legge n. 76) con lo scopo di tenere sotto controllo i “principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale”. La Corte dei conti si è attrezzata a svolgerlo con organi propri.

Nello stesso decreto legge del 2020 si è introdotto (art. 21, comma 2) il cosiddetto “scudo erariale”, che operava una deroga temporanea al principio generale di responsabilità dei funzionari pubblici oltre che per dolo, anche per colpa grave. Una norma chiaramente incostituzionale, nel merito (come si fa a eliminare la colpa grave dalla responsabilità?) e nel suo intento derogatorio (come si fa ad affermare che, passato il periodo di deroga, si ritorna alla responsabilità per colpa grave?). Ma le due cose erano collegate, nel senso che una compensava l’altra.

L’applicazione del controllo concomitante al Pnrr era, secondo il ragionamento del governo Draghi, da considerarsi naturale: il Pnrr è proprio un grande “piano di sostegno e rilancio dell’economia nazionale”.

Questa garanzia di uno stretto controllo della spesa è sicuramente entrata nella valutazione della commissione Ue nel concordare il Pnrr italiano. La commissione, che non è in grado di operare un controllo ravvicinato sulla spesa, si affida all’esistenza, nei paesi beneficiari del Next Generation Ue, di efficaci sistemi di controllo.

Il governo interviene ora con una misura che cambia radicalmente il quadro: da un lato si proroga lo “scudo erariale”, dall’altro si sottrae il Pnrr al controllo concomitante. Per la prima misura, il fatto che essa sia stata introdotta dal governo Conte-2 e prorogata dal governo Draghi, non muta i suoi effetti distorsivi della responsabilità e la sua incostituzionalità. Un errore compiuto in precedenza andava semmai corretto, non confermato.

Per la seconda misura è evidente la sua contraddittorietà: se il controllo concomitante è considerato come un inutile aggravio, esso va abolito, non solo sottratto con l’ennesima deroga emergenziale per il Pnrr.

Può il Pnrr giustificare la non applicazione di uno strumento che resta in vigore per altri interventi pubblici? Può il controllo concomitante essere additato come uno strumento che rallenta o impedisce l’attuazione del Pnrr, che va eliminato d’urgenza, quando i nostri problemi stanno tutti nella fase di programmazione e di progettazione degli interventi? Non sarebbe meglio ragionare in modo più pacato sulla sua utilità?

Vi è poi un’ultima, non secondaria, considerazione. Il governo e gli esperti che lo appoggiano manifestano un’evidente insofferenza per i timori, diffusi, della commissione Ue sulla situazione italiana nel rispetto dello stato di diritto, anche con riferimento agli interessi finanziari dell’unione.

Certo l’Italia non è, ancora, paragonabile a Polonia e Ungheria, ma non passa inosservato a Bruxelles il malcelato fastidio di questo governo e delle forze politiche che lo compongono verso l’operato della magistratura (si vedano i referendum sulla giustizia, i propositi di intervento in materia penale) o di amministrazioni indipendenti (si vedano le reazioni scomposte alle legittime osservazioni dell’Anac sul codice dei contratti sull’eccesso di deroghe anticoncorrenziali in esso previste), oggi verso la Corte dei Conti, organo cui la Costituzione garantisce la massima indipendenza dal governo. È un timore eccessivo? Forse, ma questi interventi frettolosi e contraddittori non aiutano l’Italia.

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