Le critiche in punto di diritto che da tempo formuliamo alle politiche del governo sull’immigrazione si stanno concretizzando nelle pronunce dei tribunali.

Da ultimo, due decisioni hanno riguardato il cosiddetto decreto Piantedosi, o decreto ong, che pone forti limiti all’attività delle navi di tali organizzazioni (d.l. n. 1/2023).

Giudici e ong

Il 18 marzo scorso, il tribunale civile di Crotone ha sospeso il fermo di venti giorni che le autorità amministrative avevano imposto alla Humanity 1, della ong Sos Humanity, dopo un salvataggio di migranti avvenuto qualche giorno prima. La nave era accusata di aver violato il decreto Piantedosi, non uniformandosi alle indicazioni fornite dal centro libico di soccorso marittimo. Il tribunale, oltre a rilevare un «travisamento dei fatti» da parte delle autorità italiane, ha affermato che il fermo avrebbe compromesso le «indifferibili attività di carattere umanitario» svolte dalla ong.

Il 21 febbraio scorso, analoga decisione di sospensione del fermo era stata assunta dal tribunale di Brindisi per la Ocean Viking, nave della ong Sos Mediterranée, anch’essa bloccata con le stesse motivazioni usate per la Humanity 1. Il tribunale aveva sottolineato che il perdurare del fermo avrebbe pregiudicato «in modo irreversibile» il diritto della ong di «esercitare la propria attività di soccorso in mare, in cui si realizzano le sue finalità sociali», «obiettivi di indubbio valore»; e che ciò avrebbe leso diritti come «la libera iniziativa economica (art. 41 Cost.), ma anche il diritto fondamentale alla manifestazione del proprio pensiero (art. 21 Cost.) e quello all’associazione (art. 18 Cost.)».

Nel febbraio 2023, il Consiglio d’Europa (CoE), commentando il decreto Piantedosi, aveva parlato di pretesti «per controllare le ong o per limitare la loro capacità di svolgere il loro legittimo lavoro». Secondo il CoE, anche la pratica di assegnare alle ong porti lontani rappresenta una restrizione ad «attività di ricerca e soccorso vitali» e contrasta con la Convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos), che prevede lo sbarco nel porto sicuro più vicino.

«I requisiti onerosi, arbitrari e talvolta illeciti» imposti dal decreto ong, unitamente al rischio di multe e confisca delle navi, per il CoE contribuiscono a un effetto intimidatorio (chilling effect). Forse anche per questo effetto tali organizzazioni sono restie a ricorrere contro i fermi delle loro navi.

Le questioni di legittimità

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (foto Ansa)

La giudice del tribunale di Brindisi, Roberta Marra, sta valutando la questione di legittimità costituzionale circa la norma del decreto ong che prevede il fermo della «nave utilizzata per commettere la violazione». Ogni sanzione amministrativa dovrebbe sempre essere modulabile in modo proporzionale all’entità della violazione, mentre il fermo non lo è.

I legali della Sos Méditerranée, a propria volta, contestano la costituzionalità della norma che attribuisce alle autorità italiane il potere di comminare sanzioni a navi di altri paesi per atti avvenuti in acque internazionali. La norma sarebbe in contrasto con la convenzione Unclos, secondo cui le navi in tali acque sono sottoposte alla «giurisdizione esclusiva» del paese di bandiera (salvo eccezioni).

I legali della ong avanzano dubbi di legittimità anche sulla disposizione che prescrive al comandante della nave di soccorso di recarsi «senza ritardo» nel porto di sbarco che gli è stato assegnato, precludendogli altri salvataggi, salvo autorizzazione. Ma la Convenzione Unclos sancisce il dovere di soccorrere immediatamente le persone in pericolo, senza altre condizioni.

Lo sgretolamento 

Dunque, le politiche del governo sull’immigrazione paiono via via sgretolarsi alla prova dei principi di diritto cui dovrebbero attenersi, e non solo per le pronunce citate.

Ad esempio, dopo i rilievi dei giudici di Catania sulla cauzione di circa 5.000 euro imposta ad alcune categorie di migranti per evitare il trattenimento, la Cassazione ha rimesso la questione della legittimità di tale misura, quindi del trattenimento stesso, alla Corte di Giustizia dell’Ue. Ora il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, facendo retromarcia, pare intenzionato a “rimodulare” la misura per conformarla alle norme Ue: evidentemente, teme che la Corte ne dichiari l’illegittimità, anche perché ciò rischia di travolgere pure il protocollo con l’Albania, dove saranno trattenuti i migranti cui si applica la cauzione. Quindi, il ministro prova a porvi rimedio.

Normative dettate da ideologie provocano buchi che poi rendono necessarie toppe, ormai sempre più di frequente. E non è un buon segno per uno stato di diritto.

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