La linea della Lega rimane quella di voler essere sia di lotta che di governo e, sul fronte della lotta, il bersaglio preferito è la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese.

Negli ultimi giorni il focolaio della polemica è stato alimentato dal caso del rave party a Viterbo, con picchi da diecimila persone che per sei giorni hanno campeggiato senza permessi in un terreno privato. Nonostante la morte per annegamento di un ragazzo e numerosi ricoveri per coma etilico, nulla è stato fatto fino a ieri, quando le forze dell’ordine hanno identificato circa tremila persone e l’area è stata sgomberata.

«Chi occupa in questo momento il ministero dell'Interno non è adeguato, bisognava intervenire subito», ha detto Matteo Salvini, attaccando apertamente la ministra. A non aiutare la ministra è stato il silenzio del ministero degli ultimi giorni: «La ministra è imbarazzante e il fatto che non abbia detto nulla su Viterbo è inaccettabile», ragionano alcuni parlamentari leghisti sulla scia delle parole del leader.

Le accuse, però, sono martellanti ormai da settimane. L’argomento preferito nelle scorse settimane sono state le incertezze nella gestione dei controlli per il green pass, che hanno dato materiale per gli ammiccamenti di Salvini ai no-vax. Tuttavia lo spunto principale è un sempreverde nel repertorio leghista: gli sbarchi dei migranti sulle coste italiane. «Al 16 agosto, gli sbarchi del 2021 sono 34.455, più di quelli registrati in tutto il 2020 e il triplo di quelli del 2019», ha attaccato Salvini, che si prepara a tornare sul tema anche in vista degli arrivi dei profughi afghani.

Il paradosso

Eppure, il paradosso è che Lamorgese è forse la più “salviniana” delle ministre dell’attuale governo, anche sulla gestione dei migranti. Di fatto, nei suoi due anni al Viminale e complice anche il suo essere una figura considerata tecnica non si è assistito a una rivoluzione rispetto all’approccio del suo predecessore. I decreti Salvini sono stati parzialmente modificati nel 2020 sulla linea delle osservazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e delle sentenze della Consulta, ma sono rimasti in piedi la possibilità di vietare l’ingresso delle navi nei porti nazionali nel caso di mancato rispetto di una serie di criteri e l’avvio del processo penale nel caso di violazione, con multe alle ong. Inoltre lungo la rotta balcanica il governo ha messo in atto le cosiddette “riammissioni” dei migranti, ovvero i respingimenti verso i paesi europei di primo arrivo e in particolare la Slovenia.

A trasformare Lamorgese in un bersaglio, però, giocano due dati politici. È l’unica ministra tecnica traghettata dal governo del Conte 2 al governo Draghi, ma è anche colei che ha preso il posto di Salvini e ora si trova a gestire la questione dei migrati che è stata il perno della propaganda leghista. Entrambi gli elementi la trasformano nel perfetto obiettivo: è sì considerata di area giallorossa ma non è organica a nessuno dei due schieramenti e dunque le difese d’ufficio in suo favore sono scarse, inoltre viene percepita come non centrale nello scacchiere del governo Draghi e quindi attaccabile, apparentemente senza rischi concreti per gli equilibri strutturali dell’Esecutivo. Se così è, però, la finalità vera degli attacchi sarebbe solo quella di scaldare gli animi della base. Rimane un dato ineludibile: in una fase così delicata, tra l’aumento dei contagi e la ripartenza di settembre da pianificare, qualsiasi attacco al governo è percepito come un attacco a palazzo Chigi a cui Draghi non rimane indifferente.

 

© Riproduzione riservata