Lo scorso 11 aprile, quando a Bari Giuseppe Conte sta per ordinare ai Cinque stelle di uscire dalla giunta pugliese dopo le inchieste per voto di scambio su alcuni esponenti dem, e sta per intimare al Pd di fare «pulizia e tabula rasa», a Cagliari Alessandra Todde presiede la prima seduta della sua giunta, dove il Pd è il primo partito della maggioranza. In quelle ore Elly Schlein sta rispondendo a pesci in faccia all’ex premier.

Todde mantiene la calma: la sua regola è quella dell’indimenticabile Gigi Riva, nato a varesino e morto sardo: «Io sono sardo perché sono di poche parole».

La scorsa settimana il mondo giallorosso è andato a pezzi. Ma non in Sardegna: dopo la vittoria alle regionali del 25 febbraio, la Sardegna resta l’isola felice di uno schieramento che ormai ha un grande avvenire dietro le spalle. Merito di un patto blindato tra alleati. Ma anche e soprattutto della presidente. Che da Cagliari scruta l’orizzonte del mare; e se i suoi avi – quelli raccontati da Sergio Atzeni che «passavano sulla terra leggeri» – tiravano su bastioni contro fenici, pisani e aragonesi, lei ha già imposto il divieto di sbarco alle beghe romane. Ai cronisti che le chiedono se i litigi fra Conte e Schlein arriveranno al Poetto, risponde che «ogni contesto politico regionale ha la sua autonomia, noi l’abbiamo rivendicato in campagna elettorale», quindi gli strappi pugliesi o nazionali non avranno «nessun tipo di impatto», «noi qui in Sardegna siamo molto coesi, e dell’unità faremo una delle cifre che ci porterà avanti in questo governo». La signora ha polso e buon passo: bastava vederla sabato mattina a Cagliari, giacca rossa, camminare fra piazza della Costituzione e via Garibaldi, nel salotto buono della città: una parola cordiale da tutti e per tutti.

Primo, mantenere la parola

Certo non è stato facile per lei comporre la giunta in uno scoglio, saldo quanto si vuole, ma con il mare in tempesta tutto intorno. I pesi dei partiti erano chiari: primo Pd, con il 13,8 per cento, si è aggiudicato tre assessori e il presidente del consiglio; secondo M5s, con il 7,8, due assessori. Ma per trovare la quadra sono servite pazienza e costanza.

Il Pd ha rifiutato la sanità, che alla fine è stata affidata all’oncologo romano Armando Bartolazzi, quota M5s. Il quale ha esordito con un eccesso di entusiasmo: «Non sono sardo? Neanche Riva lo era. Sarò il Rombo di Tuono della Sanità». Un paragone davvero azzardato con il mito; a Cagliari ogni via del centro ha un altarino rossoblù. Ha scatenato un putiferio. Ma il presidente del consiglio regionale Piero Comandini, che è anche segretario regionale Pd, lo ha benevolmente protetto e corretto spiegando che quell’assessorato sarà «di coalizione».

D’altro canto anche con il Pd non sono state rose e fiori. Degli 11 consiglieri eletti, sei sono vicinissimi a Antonello Cabras, grande saggio della sinistra riformista sarda, papabile presidente della banca Bper, ingegnere dunque uomo di numeri implacabili: è stato l’inventore politico di Renato Soru, ma a fine primo mandato i rapporti si sono guastati; e Soru ha perso la rielezione. Fino alla vigilia del varo della giunta – letteralmente, fino alla notte prima – Elly Schlein e il responsabile organizzazione Pd Igor Taruffi hanno discusso direttamente con Todde sulla nomina degli assessori. Quelli scelti non sono di rito schleiniano. Con calma Todde ha ascoltato il Nazareno ma poi ha tutelato la sua giunta, e cioè il Pd sardo.

E intanto ha governato le richieste dei suoi compagni di movimento, che alla fine si sono sentiti «rappresentati al meglio». Intanto Comandini e Giuseppe Meloni, rispettivamente segretario e presidente del Pd regionale, ma ora anche presidente del consiglio regionale e vicepresidente della giunta nonché assessore al bilancio, hanno preferito una proroga dei propri incarichi interni piuttosto che infilare il partito sardo nella lotteria di un congresso in cui gli uomini (e le donne) della segretaria rischiavano di finire in minoranza. Un’agitazione che non farebbe bene a nessuna delle due sponde del mare. Dunque il Pd resta calmo, per ora. Ma confuso: non si trova un capolista per Bruxelles. Da Roma dicono che sarà la stessa Schlein.

Cagliari, Sassari e Alghero

Comunque il campo largo tiene, in vista delle comunali che si terranno con le europee. Complici i patti chiari stretti prima del voto. A Cagliari Pd e M5s sosterranno Massimo Zedda: oggi si riunisce il tavolo per il via libera definitivo alla candidatura, nell’aria da mesi. Del resto il partito di Zedda, i Progressisti, è stato cruciale per la vittoria di Todde: ha rotto l’iniziale fidanzamento con il frazionista Soru ed è passato con i giallorossi. «Ci siamo dati tutti un compito: restare uniti, dalla regione alle città», ragiona Luciano Uras, «ma è stato un lavoro facilitato da cinque anni di opposizione alla giunta Solinas». L’opposizione unisce: a Cagliari, non a Roma. Nel capoluogo si delinea dunque un’inedita sfida omonima: Zedda contro Zedda. Alessandra, la candidata della destra (ma senza il Psd’az) è una forzista ed ex vice di Solinas. Pd e M5s corrono uniti anche a Sassari e Alghero.

Resta giusto una differenza di vedute sul destino di Nuoro. Il sindaco civico Andrea Soddu alle regionali si è candidato con Soru. Il Pd non l’ha presa bene e vuole fare saltare la giunta. Ma Todde impone la calma: nei prossimi giorni il sindaco deve firmare l’accordo sui Fondi europei. E la presidente non è propensa ai commissariamenti lunghi: se saltasse Soddu, Nuoro non andrebbe al voto subito (il decreto per l’election day è già firmato). Ci si riflette, dunque: con il Pd, s’intende. Perché in pratica qui, spiegano, Todde è Schlein per il Pd e Conte per i Cinque stelle. E chissà che tutto questo non torni utile anche per i duellanti del continente.

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