Sostiene che il primo match Meloni-Schlein l’ha vinto la segretaria del Pd. Viene da rispondere che, va bene, Livia Turco difficilmente concederebbe il podio a un’avversaria politica. Ma non è questo, spiega l’ex ministra della solidarietà sociale e poi della salute degli anni del centrosinistra (quello che governava perché aveva vinto le elezioni con Romano Prodi). Turco, madre del femminismo nelle istituzioni, è l’ex comunista a cui la neosegretaria Pd ha dedicato un ringraziamento speciale all’assemblea nazionale di domenica scorsa; chiamandole un lungo e affettuosa applauso della platea: alla carriera per così dire. Mercoledì in aula, dice, Schlein non ha “vinto” solamente contro la premier. Ha vinto anche contro alcuni dei suoi compagni di partito. Perché «lì Elly ha avanzato la proposta del salario minimo come base per la contrattazione sindacale. Dunque l’ha collegata alla proposta di riconoscere e estendere i poteri della rappresentanza sindacale, insieme al congedo obbligatorio per la cura dei figli, al sostegno alle famiglie ed al riconoscimento dei diritti dei bambini in qualunque circostanza familiare si trovino a vivere. Insomma ha dato una dimostrazione concreta di cosa significa unire diritti sociali e diritti civili».

Anche Meloni però ha colpito duro quando ha ricordato che molti di questi provvedimenti il centrosinistra poteva farli dal governo.

Sì, ma Elly le ha ricordato che ora al governo c’è lei. La legge sul salario minimo comunque aveva provato a farla il ministro del lavoro Andrea Orlando, e a fermarlo è stata la caduta del governo Draghi. Poi ha sottolineato che dire no al salario minimo mettendolo in alternativa alla contrattazione sindacale, o alla riduzione del cuneo fiscale, è ridicolo. Sono proposte si integrano e lo rafforzano. Insomma Elly ha dimostrato che il terreno di sfida sarà proprio la cultura di governo. Altro che movimentismo. E così ha risposto anche a tanti anche del suo partito .

Con Meloni sarà solo scontro?

Può esserci un dialogo sulle proposte per aiutare i giovani ad avere i figli che desiderano. Nel nostro paese la questione della denatalità è enorme, ed è una grave ingiustizia che i giovani debbano rinunciare ai figli perché non hanno lavoro. Su questo il Pd deve piantare una bandiera robusta. E anche sulla cura degli anziani non autosufficienti, un dramma per tante famiglie e una fonte di diseguaglianze. Il Pd deve rivendicare il testo approvato al senato ed oggi all’esame della Camera, voluto dai ministri Speranza ed Orlando. 

A lei, Turco, Schlein ha tributato un ringraziamento speciale. Ha detto che le ha insegnato la “sorellanza”. Ha riconosciuto un debito e un legame con il femminismo delle precedenti generazioni?

È stato un gesto altamente simbolico verso le donne e la storia delle donne. Ho sentito le sue parole, ha citato una discussione che insieme ad altre svolgemmo in un incontro alla Casa Internazionale delle donne a Roma. Ha riconosciuto le battaglie delle generazioni precedenti e ha affermato di riconoscersi nella pratica politica della sorellanza, che è il reciproco riconoscimento di forza tra donne. Chi l'ha praticata sa bene che non è un pranzo di gala, non è un generico “vogliamoci bene” ma il modo per spezzare il patriarcato e le connivenze femminili con esso. Riconoscere l'autorevolezza femminile è quello che molti uomini non sanno fare, anche perché mette in discussione il loro potere. Tante volte le donne hanno tacitamente accettato, per ottenere qualche posto. Ovviamente quell'applauso mi ha fatto piacere: da tanti anni sono fuori dalle sedi dirigenti del partito ma ho sempre continuato a fare politica nei territori e nella società. Credo che questo sia stato apprezzato.

Lei è stata una femminista praticante fin dai tempi del Pci. Perché il Pd ha dovuto cercare fuori una leader donna?

Il Pd non ha cercato una donna fuori da sé. È lei che si è imposta al Pd. Ha avuto il coraggio di proporsi e l’ha fatto con un progetto nettamente di sinistra, con la sua storia di impegno in tanti luoghi sociali, in tante reti, in tanti movimenti. Elly Schlein non è solo la prima segretaria della sinistra ma l'espressione di una leadership nuova, che unisce il coraggio e l'autorevolezza individuale con la forza di relazioni vive con la società. Una novità che ha acceso speranze. La sinistra rinasce solo se si prende cura delle persone e se pratica una concreta politica popolare.

Gli altri leader fanno fatica a riconoscere la leadership dell’opposizione a Schlein. Dovrà trovare il modo di imporre la sua autorevolezza?

I leader dell’opposizione sono spaventati perché ne sentono la forza. Per imporre la sua autorevolezza deve essere sé stessa, determinata nella sua idea di politica e di rinnovamento del partito, capace di ascolto autentico. Deve essere unitaria e dimostrare di coniugare sempre una visione di società con una cultura di governo.

Anche se Schlein si è rammaricata per, ha ammesso, non avere avuto una formazione politica. Per età, perché nata troppo tardi rispetto alla scuola dei partiti della sinistra.

Quel passaggio è stato importante, ma in realtà ha detto un’altra cosa. Ha rivendicato il suo essere nativa del Pd ma nello stesso tempo di sentire il bisogno di conoscere le culture politiche costitutive del Pd. Nella mia esperienza, ho incontrato tante volte giovani e ragazzi vogliosi di conoscere la nostra storia, coinvolti nel racconto della militanza passata. Oggi abbiamo bisogno di elaborare una nuova cultura politica della sinistra. Sarebbe importante costruire un pensatoio che raccolga le forze intellettuali ma anche i padri e le madri dell'Ulivo per coinvolgerli in una discussione libera e profonda sulle novità del mondo, sul lavoro che cambia, su come si costruisce un nuovo umanesimo.

Prima del salario minimo, c’è stata la tragedia di Cutro. Per cambiare rotta il Pd deve rinnegare sé stesso, i decreti Minniti, i finanziamenti alla cosiddetta Guardia costiera libica.

Le posizioni del “nuovo” Pd sull’immigrazione sono nette. Del resto contano anche le storie e le biografie: e Schlein vanta molta credibilità per il suo impegno sulla riforma del regolamento di Dublino. Nessuno può accusarla di incoerenza. Peraltro da qui, prima di tutto, era nata tempo fa la mia stima per lei.

Invece il Pd ha avuto un rapporto difficile con il tema dell’immigrazione. Si fa risalire al ministro Minniti. Ma forse potrebbe risalire fin alla sua legge Turco-Napolitano, che dalla sinistra radicale?

Chiariamo questa storia. La legge dell’Ulivo ha il merito storico di essere stata ed essere tuttora l’unica legge che ha detto: basta con l’emergenza, l’immigrazione è un fatto strutturale che cambia in profondo la società. Va governata rendendo convenienti e praticabili gli ingressi regolari per la ricerca di lavoro, ad esempio attraverso lo sponsor, promuovendo politiche di convivenza compreso il diritto di voto locale, che poi fu tolto dalla legge ordinaria perché i costituzionalisti ci suggeriscono di ricorrere ad una riforma costituzionale sull’articolo 48.

Quella legge introdusse i centri di permanenza temporanea.

Introducemmo il contrasto della immigrazione clandestina attraverso il foglio di via ed il trattenimento per il tempo strettamente necessario per effettuare la identificazione di chi negava le sue generalità. Ma non erano i centri che poi sono diventati in tanti posti d’Italia. E la Bossi-Fini l’ha stravolta. Anche se alcune parti, come quelle sui flussi, quelle sui diritti sociali, anche grazie a sentenze della Corte Costituzionale, sono rimaste in vigore.

La Bossi-Fini è del 2002. Secondo lei perché la sinistra al governo non è mai stata in grado di cambiarla?

Perché dopo quegli anni nella sinistra è prevalso l'approccio emergenziale e la subalternità alle paure cavalcate dalle destra. Ora mi sento di dire, di sperare, che quella stagione sia finita. Bisogna costruire un approccio globale all'immigrazione, come ha suggerito il consiglio europeo che di svolse a Tampere nel 1999, ormai del tutto dimenticato. Serve una politica europea per gli ingressi per lavoro, per i salvataggi in mare, per rafforzare i corridoi umanitari. Prendere di petto la cooperazione con l’Africa, riformare il regolamento di Dublino. Serve costruire la società della convivenza. E far capire a tutti i cittadini che è l’unica strada seria, e umana, per costruire una società sicura.  

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