L’articolo 49 della nostra Costituzione recita: «Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». La Costituente volle prevedere espressamente i partiti (fu una novità assoluta rispetto all’indifferenza dei regimi liberali), sottolineando la generale ed essenziale funzione di essi come strumenti di organizzazione politica che i cittadini avrebbero dovuto utilizzare per concorrere, con metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale.

Si sottolineava il momento della libertà associativa e il pluralismo partitico, si vietò la ricostituzione “sotto qualsiasi forma” del disciolto partito fascista, e si escludeva la necessità di assicurare la democrazia interna ai partiti, ritenuta una finalità che avrebbe limitato quella libertà che andava garantita contro ogni mezzo di ingerenza “antidemocratica”, destinata a essere più pericolosa specie nei confronti delle minoranze.

Ciò non significa affatto che i partiti rilevino solo come soggetti privati e che non abbiano affatto un ruolo pubblico: «Nel popolo e nei partiti, in cui il primo si organizza, risiede la sostanza del potere politico»; «nella forza dei partiti sussiste la garanzia dell’attuazione dei principi della Costituzione». In queste due affermazioni (che il comunista Renzo Laconi pronunciò alla Costituente e che furono condivise da tutti coloro che scrissero il testo dell’art. 49 sui partiti) è contenuta la specifica funzione dei partiti di realizzare la forma e la sostanza di una democrazia politica.

Quando il parlamento, influenzato da una fase politico-mediatica motivata con l’accusa ai partiti di usare il finanziamento pubblico diretto con poca trasparenza, decise di abolire tale finanziamento sostituendolo con erogazioni liberali di tipo privato, commise un errore storico. Ha contravvenuto, secondo noi, se non alla Costituzione, almeno al suo spirito, ovvero al paradigma implicito che, sottolineando per iscritto la libertà di associazione al fine di determinare la politica nazionale, comporta peraltro la necessità della loro attività, che sola è in grado costituzionalmente di comporre elettivamente il parlamento e quindi il governo.

Indipendentemente dalle circostanze storico-giudiziarie che costantemente caratterizzano le contraddizioni fra la funzione dei partiti e le varie forme lecite e meno lecite dell’autofinanziamento, riteniamo non giustificabile lasciare associazioni giuridicamente private, ma costituzionalmente necessarie, prive del contributo pubblico, il cui uso corretto naturalmente rimanda a forme di controllo terzo e indipendente, la cui efficacia deve poter essere garantita. Qualunque funzione pubblica, anche individuale, è giustamente ricompensata, mentre la funzione democraticamente più decisiva è stata stabilita doversi attivare gratuitamente.

Questo paradosso viene accreditato sulla base delle premesse diffuse legate alla sfiducia manifestatasi recentemente da parte dei cittadini nei confronti del ruolo e dell’immagine attuale dei partiti.

A partire da queste riflessioni intendiamo intraprendere una battaglia di impegno civico per una democratica decisione che rimedi alla legge che, abolendo il finanziamento pubblico diretto, svaluta la funzione pubblica dei partiti, e aumenta le difficoltà nella complessa ma necessaria funzione di composizione del parlamento della Repubblica e delle altre assemblee rappresentative in Europa e nei livelli regionali e locali.

Una buona strada da seguire potrebbe essere quella tracciata in Germania, in cui il finanziamento pubblico diretto costituisce lo strumento necessario per consolidare la posizione costituzionale dei partiti nella determinazione della politica e nella composizione delle istituzioni parlamentari e, quindi, quali motori decisivi di una democrazia pluralistica effettiva.

© Riproduzione riservata