La premier a parole si dice sempre contraria alle misure una tantum, ma da quando è al governo ne ha introdotte tante. Dopo Befana e social card arriva quella per i neonati
Dai figli alla spesa, fino al Natale. C’è un bonus per tutto. L’ultimo è un eterno ritorno: il bonus bebè, o natalità per una definizione più formale. Eppure Giorgia Meloni in numerose dichiarazioni ha sostenuto che i bonus sono, testuale, «soldi gettati dalla finestra».
Peccato che lei stessa sia pronta a mettere la firma sull’ennesimo bonus, quello sulle nuove nascite, spuntato fuori dalla manovra e annunciato in pompa magna da Giancarlo Giorgetti. Sono mille euro per ogni bimbo nato nel 2025. «Il nome lo deciderà la presidente del Consiglio», ha puntualizzato il ministro dell’Economia, evitando di assumersi una responsabilità così delicata.
Matrice renziana
Chiamarlo bonus bebè è disdicevole, perché rimanda a Matteo Renzi che lo aveva introdotto nel 2015 (80 euro al mese, quasi quanto quello reintrodotto). L’alternativa era «carta per i nuovi nati», ma suona male: è poco incisivo. Gira e rigira, comunque, è una mancia da mettere sul piatto.
Ci sarebbe, peraltro, uno strumento adeguato su cui appoggiare l’iniziativa a favore delle famiglie: l’assegno unico, che è nato proprio con l’idea di disboscare la giungla di incentivi e misure spot legate ai figli. L’ipotesi dei giorni scorsi era un rafforzamento dell’assegno. Ma il duo Meloni&Giorgetti è andato in direzione opposta, abbacinato dal fascino di introdurre una misura ad hoc per incentivare la natalità. L’insostenibile fascino del bonus, che può essere rivenduto come la grande novità dell’anno.
Del resto non è la prima volta che il governo Meloni cede al fascino dell’una tantum, dell’incentivo spot che ha poco (o niente) di strutturale. Non si tratta di un’eccezione che conferma la regola, è la regola del governo “anti-bonus”. Un altro esempio lampante è la carta “Dedicata a te”, decantata dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che si è intestato il progetto.
La social card ha una dotazione complessiva di 500 euro in un anno da spendere per l’acquisto di beni di prima necessità (il Masaf stila ogni volta una precisa lista di cosa è acquistabile con quelle risorse) ed è destinata solo per i nuclei familiari più poveri, con l’Isee inferiore a 15mila euro. «Una mancetta», è stata la definizione delle opposizioni. Di sicuro una tantum, oltre che inadeguato nello stanziamento.
Babbo Natale e mobilio
E senza bisogno di scartabellare chissà quali cavilli, di recente il governo Meloni ha varato la madre di tutti i bonus: il bonus Befana, come lo ha definito il viceministro all’Economia, il meloniano Maurizio Leo. Si tratta di 100 euro dati in una sola occasione ai nuclei familiari con un reddito complessivo inferiore a 28mila euro e con un figlio a carico. La misura è stata anticipata di un mese, in seguito a un lungo tira e molla.
Così è stato ribattezzato bonus Babbo Natale. Non più nella calza ma sotto l’albero.
Altri tipi di bonus sono stati in vigore per tutto il 2024, in attesa di capire cosa accadrà per il futuro. È il caso del bonus Trasporti, ereditato dal governo Draghi e pesantemente depotenziato. Finora ha previsto uno sconto di 60 euro ai pendolari che usufruiscono di mezzi pubblici locali e regionali. Il governo Meloni ha fissato il paletto dell’Isee inferiore a 20mila euro. Resta da capire l’orientamento per il 2025.
C’è stata invece la conferma del bonus mobili, attraverso la voce del viceministro dell’Economia Leo: una detrazione del 50 per cento sull’acquisto di arredi o grandi elettrodomestici. E per chiudere il cerchio resiste un bonus edilizio, superstite del Superbonus inviso a Giorgetti: è quello del 50 per cento sulle ristrutturazioni.
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