Il periodo di fine anno è per tutti un momento di bilancio di ciò che è stato e di speranze per quello che verrà. Un’analisi dei dati pubblicati nell’ultimo anno mostrano che per i giovani residenti in Italia spesso mancano prospettive e opportunità.

«Parlare di giovani oggi e relegarli a classe sociale è al quanto fuorviante e rischia di non considerare un aspetto fondamentale: non sono necessarie delle politiche specifiche per i giovani, ma politiche intersezionali che siano in grado di far crescere il paese anche attraverso il ricorso ai giovani», dice Mattia Angeleri, fondatore della pagina social satirica Aggiornamenti quotidiani dalla terza repubblica (Aqtr) e cofondatore dell’organizzazione indipendente 20e30, nata a seguito  della campagna elettorale del 2022. 

I dati del 2023  

Se nel 2003 i giovani compresi nella fascia d’età tra i 18 e i 34 anni erano 13 milioni, nel 2023 il rapporto del Censis ne ha registrati solo 10 milioni. Un dato che continuerà a calare anche nei prossimi anni con la previsione di arrivare a contare 8 milioni nel 2050.

Se il calo demografico interessa il governo guidato da Giorgia Meloni, ai giovani preoccupa invece la mancanza di politiche che li riguardano in prima persona. È quanto emerge dagli ultimi rapporti pubblicati. Infatti, il 73,4 per cento dei giovani italiani crede che l’Italia stia andando inevitabilmente verso il declino. Ma il futuro non è l’unica preoccupazione. Bisogna aggiungere anche la paura per il clima, lo scoppio dei conflitti degli ultimi anni e la pressione in aumento dei flussi migratori.

Dal punto di vista economico la situazione non è migliore. Anche se attualmente l’età legale della pensione è di 67 anni, infatti, un giovane che inizia a lavorare all’età di 22 anni ha la speranza di andare in pensione all’età di 71 anni. L’età supera la media dei paesi Ocse che si aggira tra i 64 ai 67. 

La speranza di andare in pensione, quindi, è solo di quelli che a 22 anni hanno iniziato a lavorare e questo non rappresenta la maggior parte dei giovani di oggi. Il nostro paese occupa il quinto posto, insieme alla Cina, nella classifica dell’Ocse per il tasso di disoccupazione giovanile.

I dati provvisori di Istat per il mese di ottobre hanno mostrato che il tasso di disoccupazione giovanile è salito del 24,7 per cento rispetto al mese precedente. Coloro che invece hanno la fortuna di avere un contratto sono già consapevoli che in trenta anni i salari in Italia sono cresciuti solo l’1 per cento rispetto al 32,5 per cento dei paesi Ocse. 

Speranze per il futuro

Dopo i dati registrati nell’ultimo anno ci si augurava un’azione concreta da parte del governo italiano. «Lo scenario che emerge da questi numeri, a cui potrebbero aggiungersene molti altri, è quello di un sistema paese che presta poca attenzione alle future generazioni», dice Mattia Angeleri.

Ma nel nuovo disegno di legge sono previsti solo due interventi rivolti alle nuove generazioni. Il primo è la conferma per il 2024 delle agevolazioni per l’accesso al credito destinato all’acquisto della prima casa per i giovani under 36. Il secondo, invece, è lo stanziamento di 3 milioni di euro per l’anno prossimo e 7 milioni per il 2025 per il finanziamento delle borse di studio destinate agli studenti che partecipano al programma Erasmus.

Queste misure, però, arrivano alla somma di 300 milioni di euro, che risulta «poco più dell’1 per cento delle risorse complessive». Come ricorda Angeleri, non si dovrebbe focalizzare l’attenzione solo sugli investimenti che verranno stanziati ma «è necessario lavorare sull’approccio che il legislatore deve avere nei confronti delle riforme che decide di mettere in atto». 

Se il governo riesce ad ottenere pochi risultati, come dimostrano i dati, allora un’azione potrebbe partire dagli stessi giovani. Alla domanda sul ruolo che possono assumere i giovani in questo periodo sensibile, Angeleri risponde: «Non mi sento di fare la morale o dire cosa dovrebbero fare i giovani, dico solo che chi resta in disparte fa un danno prima di tutto a sé stesso, perché permette ad altri di decidere al suo posto e se tutti partecipassimo maggiormente, forse ci darebbero più ascolto». 

Il cofondatore di Giovani 2030 sottolinea che «la non partecipazione è partecipazione». I giovani dovrebbero avere la volontà di partecipare attivamente al dibattito pubblico, ma, dall’altra parte, anche la classe politica dovrebbe dare più possibilità di partecipazione. Il fondatore di Aqtr ha evidenziato che ad oggi il parlamento «è ancora troppo anziano e distante dagli under 35 per far sì che ci si possa sentire rappresentati».

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