Nonostante la data quasi festiva, la commissione Bilancio della Camera si è riempita come nelle grandi occasioni. Ospite d’eccezione: il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Con la maggioranza schierata a difenderlo e l’opposizione decisa a metterlo sulla graticola.

La commissione era riunita per discutere la finanziaria, che sta completando, con testo blindato, la sua lotta contro il tempo per venire approvata entro fine anno (il voto finale è previsto per venerdì 29 a Montecitorio), ma il ministro si è trovato a rendere conto delle due ultime scelte politiche del governo: la firma di un Patto di stabilità che non appare vantaggioso per l’Italia e la mancata ratifica del Mes voluta da Lega e Fratelli d’Italia, mentre il ministro si era apertamente detto favorevole alla misura.

Nel suo intervento, Giorgetti ha scelto la strada della schiettezza, elencando più problemi che soluzioni, accusando i suoi predecessori degli ultimi quattro anni di aver approvato misure che l’Italia non può permettersi e delineando uno scenario fosco per il futuro. «Il nostro problema è il debito», è stata la sua sintesi poco benaugurante in vista del 2024.

Unica nota positiva, la legge di Bilancio, che nella versione approvata al Senato «ha mantenuto intatti sostanzialmente la quadratura e l’impianto della nostra proposta, in questo senso il governo la valuta favorevolmente». Più complessivamente, «rivendico di avere fatto lo sforzo per i lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi», ha detto Giorgetti, che ha ricordato come il repower del Pnrr sia da considerarsi parte integrante della legge di Bilancio per le imprese.

Finite qui le buone notizie, ha confermato che le aspettative di crescita «eccedono oggi le stime aggiornate» a causa delle guerre «soprattutto per colpa dell’inflazione, che ha condizionato il commercio e la crescita in Europa».

Il Patto di stabilità

Sulla difensiva, invece, è stato il suo atteggiamento sulla firma italiana al Patto di stabilità, quasi subìto dall’Italia dopo l’accelerazione imposta da Francia e Germania. «Si tratta di un patto tra tanti paesi», e nella valutazione «dobbiamo considerare che, se non ci fosse stato alcun accordo, sarebbe entrato in vigore il vecchio patto con il fiscal compact». Il bilancio, al netto degli attacchi delle opposizioni, anche per Giorgetti non è necessariamente positivo. «Probabilmente abbiamo fatto un passo indietro», ha ammesso, «perché abbiamo introdotto in un sistema già complicato il caos totale, con tantissime clausole per richiesta di diversi paesi, ma altrimenti non si sarebbe fatta nessuna riforma».

Insomma, il Patto di stabilità è un «compromesso» di cui «non dobbiamo fare festa», ma «la valutazione però la faremo tra qualche tempo, rispetto al vecchio ha il pregio che la commissione può costruire un percorso per ogni singolo paese», quindi con un sistema di regole «complicato ma mobile».

L’unica vittoria italiana è quella che già Meloni aveva speso nel suo ultimo intervento in parlamento ben prima della firma, a dimostrazione che la trattativa nei fatti si fosse chiusa in quel momento: «Abbiamo ottenuto che almeno le spese del Pnrr per transizione energetica, un nuovo concetto di sicurezza e la transizione digitale siano comprese in una eccezione, e questo è il successo italiano nel Patto».

Nel prendersi la responsabilità di aver firmato il Patto, Giorgetti non ha indorato nessuna pillola, ma scaricando una buona parte della responsabilità sui governi dei precedenti quattro anni di Covid in cui il Patto è stato sospeso: «Questa discussione è viziata dalla allucinazione di questi quattro anni, in cui abbiamo pensato che tutto si potesse fare, senza tornare a un sistema di regole. Il problema non è l’austerità, ma la disciplina». Poi ha messo in chiaro il vero problema che gli ha legato le mani nella negoziazione: «Partivamo dalla condizione svantaggiosa di essere un paese con un debito al 140 per cento sul Pil», quindi la soluzione è una sola: «Uscire dalla fase di assuefazione ed eliminare tutte le misure che non ci possiamo permettere».

Il Mes

Sul Mes il ministro ha scelto di assestare qualche colpo di attacco, smentendo di aver mai detto pubblicamente che l’Italia avrebbe ratificato il meccanismo salva stati. «In sede europea, a richiesta ho ricordato che il parlamento italiano aveva di volta in volta rinviato la votazione rispetto a una richiesta dell’opposizione». Dopo il quarto rinvio, «ho ritenuto che il parlamento italiano una decisione avrebbe dovuto prenderla e il parlamento ha votato come io avevo anticipato in sede europea, dove avevo detto che sia una parte della maggioranza che della opposizione erano contrarie». Insomma, nessun fallo di reazione sul Patto di stabilità, solo una parziale ammissione: «Certo che come ministro delle Finanze avere uno strumento in più come il Mes sarebbe stato più comodo, anche a livello personale. Ma il Mes non è né la causa né la soluzione del nostro problema, che si chiama debito», ha ribadito, pur confermando che il sistema bancario italiano è il più solido d’Europa.

Il Superbonus

Dentro la maggioranza, intanto, si sta consumando il braccio di ferro per una proroga almeno parziale al Superbonus, per cui spinge in particolare Forza Italia (dopo aver dovuto cedere con l’astensione sulla ratifica del Mes). Ferma la rigidità di Giorgetti, che ha detto che gli ultimi dati «vanno addirittura peggio rispetto a quelli previsti dalla Nadef», e che «la norma ha effetti radioattivi che non riusciamo a gestire», un accordo dovrebbe essere trovato nel decreto Milleproroghe, in cui dovrebbe essere consentito di presentare un quarto stato di avanzamento lavori straordinario, che consentirebbe di scaricare fino ai primi giorni del nuovo anno le fatture.

Sul tavolo, però, ci sono varie proposte, tra cui quella che dovrebbe veder ridotto il bonus dal 110 al 70 per cento. Un nuovo lavoro di calcolo per gli uffici del Mef, ulteriori problemi per Giorgetti.

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