Se vogliono essere all’ordine del giorno di una discussione parlamentare gli studenti debbono prendere le botte. Neanche morire basta. Sembra demagia ma, vedremo, non siamo lontani dalla realtà. Venerdì prossimo i movimenti studenteschi hanno prenotato le piazze di mezza Italia per raccontare la loro idea di scuola, dopo le proteste del 23 e del 28 gennaio contro la morte di Lorenzo Parrelli, 18 anni, ucciso da una putrella di 150 chili alla meccanica Burimec di Lauzacco (Udine) nel suo ultimo giorno di tirocinio; i ragazzi contestavano anche il ripristino del “vecchio” esame di maturità.

Ma le piazze di dopodomani saranno di nuovo un grido di dolore contro un’altra morte, quella di Giuseppe Lenoci, sedicenne, ucciso in un incidente stradale a Serra de’ Conti (Ancona). Anche lui stava facendo uno stage. Il 9 febbraio la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha affrontato due non facili informative alle camere per rendere conto delle cariche delle forze dell’ordine contro gli studenti in quattro città. C’è una foto simbolo di quella giornata parlamentare: ritrae la ministra nei banchi del governo. Da sola. Accanto a lei né il ministro del Lavoro Andrea Orlando né quello dell’Istruzione Patrizio Bianchi.

Invocati nelle piazze, si sono ben guardati dall’associare le loro facce all’autodifesa del Viminale. Meno esposti, i due ministri hanno messo in piedi un tavolo “tecnico”, che fin qui si è riunito una volta, «per rivedere tutte le fasi con cui i ragazzi vanno nei luoghi di lavoro», spiega Orlando. «Serve una sorta di bollino blu che certifichi che gli standard di sicurezza siano ancora più forti della norma per permettere una formazione sicura». Più forti della norma: dopo l’indignazione suscitata nel maggio 2021 dalla morte di Luana D’Orazio, l’operaia 22enne rimasta agganciata a un rullo di un’azienda tessile di Montemurlo (Prato), l’estate scorsa si è insediato con molte speranze il nuovo capo dell’Ispettorato nazionale del Lavoro Bruno Giordano. Oggi sul suo lavoro serpeggia la disillusione.

Estendere le norme

«Non c’è stata inerzia», assicurano dal ministero. Nella scorsa legge di bilancio Orlando ha fatto inserire una norma sui tirocini extracurricolari per scongiurare che diventino «una forma di lavoro non retribuito».

Ora, nel tavolo, si punta ad allargare il discorso ai tirocini curricolari e in generale a monitorare tutti i momenti in cui scuola e lavoro si incontrano, ed estendere le norme di sicurezza come quelle vigenti in un normale contratto di lavoro. Ma il punto è proprio questo: nei “normali” posti di lavoro le morti restano altissime, una media di oltre tre al giorno. 1.404 nel 2021, di cui 695 sui luoghi di attività. Maurizio Landini, leader della Cgil, prepara una mobilitazione nazionale. La sensibilità del parlamento, a parole, è unanime. Eppure al momento i due ministri non hanno risposto alle interrogazioni, che d’altra parte non hanno requisiti di urgenza.

Mercoledì scorso, nel primo question time della camera dopo lo stop per le elezioni del Quirinale (Lorenzo è morto in quei giorni), nessuna forza politica ha convocato i due ministri sul tema, come in genere succede per i problemi più sentiti. Sono arrivate invece interrogazioni. Ad Orlando si sono rivolte Donatella Legnaioli della Lega e Paola Frassinetti di FdI. Per Bianchi pende un’interrogazione in senato (Matteo Mantero e altri del misto) e una alla camera (Rina De Lorenzo, M5s).

Le risposte però ancora non sono arrivate. È arrivata invece un’altra morte «inaccettabile», quella di Giuseppe. Lorenzo svolgeva un tirocinio, Giuseppe frequentava un corso di formazione sulla termoidraulica. Gli studenti chiedono di «cancellare l’alternanza scuola lavoro». Dall’Istruzione spiegano che il tavolo tecnico dovrà elaborare proposte migliorative in termini di sicurezza e di garanzia della coerenza con un percorso di formazione. Bianchi chiede di coinvolgere le regioni perché i percorsi di formazione professionale sono innanzitutto di loro competenza, anche se possono esserci collaborazioni con i percorsi di istruzione professionali della scuola secondaria di II grado, dunque gestiti dal ministero. Ma ogni regione ha un suo sistema di istruzione e formazione professionale. Ci si può iscrivere a un istituto tecnico-professionale, con un triennio di tirocinio in azienda tramite un ente accreditato dalla regione; oppure scegliere la formazione con i suoi tirocini, sempre tramite gli enti di formazione regionali.

Un tavolo per tutti

La differenza c’è, ma le due strade si intrecciano: «Molte volte gli istituti che erogano i percorsi professionali sono gli stessi che offrono anche indirizzi scolastici professionali. Le convenzioni con aziende sono spesso le stesse per entrambi e le ore lavoro, in caso di trasferimento di corso, sono convertite in crediti Pcto, Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento», spiega Luisa Arezzo, direttrice di Scuole di Roma, associazione di promozione sociale. «Dopo la riforma Gelmini (2008, ndr) è stata data facoltà agli istituti di accordarsi con i centri di formazione professionali delle rispettive regioni per far conseguire agli studenti anche un attestato di qualifica regionale alla fine del terzo anno, perché il tasso di abbandono nei professionali è alto. Insomma, sono corsi dialoganti, che quasi sempre fanno entrambi i canali, con monte ore diverse e dunque impegni diversi».

Altro discorso quello più strettamente di «alternanza scuola lavoro»: nasce nel 2005, viene resa obbligatoria nel 2015 dal governo Renzi (legge 107) quindi riformata nel 2018 dal ministro leghista Marco Bussetti (oggi si chiama appunto Pcto). Qui la competenza è del ministero dell’Istruzione. Il tavolo c’è, tanto per rispondere all’esortazione del presidente Mattarella: «Doveroso ascoltare la voce degli studenti». Ma su quel tavolo prima bisognerà mettere insieme la maggioranza, su proposte condivise, poi tradurle in provvedimenti reali. Un tavolo non si nega a nessuno, ma il rischio è che vada molto per le lunghe. Se non in bianco.

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