La svolta di Mario Sechi diventa una giravolta. Il capo ufficio stampa della presidente del Consiglio tornerà a fare il giornalista dopo aver detto addio all’Agi appena qualche mese fa. Da metà luglio sarà al comando del quotidiano Libero. E così l’esperienza del giornalista sardo a palazzo Chigi tramonta a meno di quattro mesi dal suo arrivo.

Una notizia che nessuno ha smentito e che di sicuro farà piacere allo storico inner circle di Giorgia Meloni. Un cerchio molto chiuso formato da pochi fedelissimi: In prima fila ci sono la portavoce di sempre e ora ufficialmente coordinatrice eventi di comunicazione, Giovanna Ianniello, e Patrizia Scurti, la capo segreteria tuttofare. A completare il tris Paolo Quadrozzi, cognato di Ianniello, assunto nello staff del sottosegretario Alfredo Mantovano.

Non è un segreto che l’incarico assegnato a Sechi per 180mila euro lordi all’anno, eguagliando il compenso di Scurti e superando di 20mila euro la remunerazione di Ianniello, non sia stato gradito. Anche perché, contestualmente, era circolata l’ipotesi di un trasferimento di Ianniello alla regione Lazio, al fianco del neoeletto presidente Francesco Rocca. 

Cosa che alla fine non succederà. Ad andarsene sarà Sechi, seppure con una buona via di fuga che non cancella la questione di fondo. Anzi, probabilmente l’acuisce. Inutile sperare in rivoluzioni e aperture verso l’esterno. A prevalere a palazzo Chigi è una sorta di logica tribale condita con un bel po’ di sindrome d’accerchiamento: fuori dalla “famiglia” di Meloni non ci si può fidare quasi di nessuno.

Sechi ai margini

Anche per questo, forse, il bilancio di questi mesi di Sechi al fianco di Meloni non è destinato a entrare nella storia della comunicazione. Il ricordo della conferenza stampa a Cutro, forse la cosa comunicativamente peggiore che la premier ha realizzato da quando è arrivata al governo, è ancora vivo.

Meloni, dopo le polemiche legate al suo silenzio sulla tragedia che è costata la vita ad almeno 95 migranti (di cui 35 minori), sperava di confezionarsi uno spot su misura. Per questo aveva deciso di organizzare un Consiglio dei ministri a Cutro. E Sechi, ereditata la decisione, aveva provato a fare del suo meglio. 

Ma tutto è rapidamente precipitato in un disastro. Luci soffuse, Meloni e i ministri che si vedevano nella penombra, trasmettendo un messaggio quasi inquietante. I contenuti? Anche peggio. La presidente del Consiglio aveva arrancato di fronte ai giornalisti che, senza seguire l’ordine prestabilito, avevano iniziato a incalzarla con le domande diretta senza parlare al microfono. Un caos totale che non era piaciuto né a Scurti né a Ianniello che ovviamente avevano imputato a Sechi la responsabilità di non aver “protetto” a dovere la premier. 

Da allora l’ex direttore dell’Agi ha cercato di ricavarsi un suo spazio imponendo il proprio metodo di lavoro. Una libertà mai concessa. Con Meloni non è mai scoccata la scintilla: la premier ha sempre preferito ascoltare Scurti e Ianniello (più Quadrozzi). E Sechi è stato lentamente relegato ai margini.

Così ha tirato avanti facendo il minimo indispensabile. Meloni ha iniziato a disertare qualsiasi appuntamento ufficiale con i giornalisti e lui ha trascorso gran parte del tempo selezionando i ministri da inviare in conferenza stampa. La premier ha preferito affidarsi al rapporto diretto con il pubblico. Così sono arrivati i video fatti in casa (come quello per promuovere il decreto Lavoro), il soliloquio a Tunisi (la premier sul podio, ma senza avere di fronte dei cronisti), la pervicace convinzione di dover evitare gli appuntamenti di rito che normalmente accompagnano di Consigli dei ministri. Sechi è diventato un capo ufficio stampa, senza stampa. E di tanto in tanto ha preferito fare degli incontri di lavoro sulla terrazza dell’hotel Locarno, in centro a Roma, preferendola al suo ufficio.

Scordiamoci il passato

Ora palazzo Chigi sta preparando l’exit strategy. La narrazione ufficiale è che quella di Sechi sia una scelta professionale, perciò “grazie e tanti auguri”. Dopotutto andrà a dirigere un giornale d’area. Meglio non avvelenare il clima. L’editore Antonio Angelucci è intenzionato a rafforzare il polo editoriale di destra dopo l’acquisto del Giornale. Libero è uno dei pezzi fondamentali della strategia. Ma è chiaro che il deputato-editore, eletto con la Lega, guarda con più simpatia a Matteo Salvini che a Meloni.

La vittoria di Scurti e Ianniello, comunque, non è un gran trionfo: a palazzo Chigi resta il problema della comunicazione. Già il casting per arrivare a Sechi era stato tortuoso. Le cronache e le indiscrezioni di palazzo raccontano di molti contatti (Andrea Bonini di SkyTg24, Gian Marco Chiocci poi approdato al Tg1, Franco Bechis, solo per citarne alcuni) e di altrettanti “no grazie”. Ora sarà ancora più complicato visto il trattamento ricevuto dall’ex direttore dell’Agi.

Al momento la candidatura più accreditata sambra essere quella dell’ex deputato Daniele Capezzone, oggi editorialista della Verità di Maurizio Belpietro, unico quotidiano di destra che non è nelle mani di Angelucci. Negli ambienti di governo comunque viene data alta probabilità di un rinvio della nomina a dopo l’estate.

Senza voce europea

Nel frattempo la premier è alla ricerca, senza fortuna anche in questo caso, di una figura che curi i rapporti con la stampa internazionale (il ruolo che Mario Draghi, all’epoca del suo governo, aveva affidato al giornalista Ferdinando Giugliano). Finora, oltre a un problema di casting, c’era anche una questione di budget, visto che gran parte della disponibilità economica era assorbita da Sechi, che aveva comunque le capacità per svolgere anche questo compito.

Il risultato di questo impasse, su cui pesa ovviamente anche il giudizio e il ruolo della “tribù” di Meloni (chi accetterebbe di parlare con le testate internazionali sapendo che ogni decisione in merito sarebbe comunque sottoposta al vaglio di Scurti e Ianniello?), è che da un lato la leader sogna e lavora per cambiare l’Europa, dall’altro risulta completamente afona. Da quando è a palazzo Chigi non ha praticamente rilasciato interviste alla stampa estera (Salvini nelle ultime settimane ha parlato sia con il Pais sia con il Figaro). I corrispondenti non hanno un vero referente e tutto è gestito dalla cerchia ristretta dei fedelissimi. O meglio, delle fedelissime.

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