Tutti contro Matteo Salvini e il governo, ma stando bene attenti a non impiccarsi alla sentenza sul caso Open Arms, attesa entro fine anno. La questione dei migranti riesplode, in piena campagna elettorale in tre regioni (Liguria, Emilia-Romagna e Umbria, anche se in quest’ultima incredibilmente ancora la data del voto non è stata decisa dalla presidente uscente Donatella Tesei) e il Pd si prepara a rispondere agli attacchi della destra, che potrebbero durare anche mesi.

I pm palermitani hanno chiesto sei anni di carcere per il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, a processo con l’accusa di sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio per aver impedito, nell’agosto del 2019 da ministro dell’Interno, lo sbarco di 147 migranti dalla nave dell’ong spagnola.

Ma l’esito della sentenza è un’incognita e, fino a quel momento (e oltre, c’è da scommetterci), lo stesso Salvini, con la premier e tutta la maggioranza, spingeranno sul tasto del “processo politico”. In casa Lega si prepara una raccolta firme a sostegno del leader, con tanto di gazebo nelle piazze nei prossimi due fine settimana.

Non scommettere sui pm

Il Pd, dalla segretaria in giù, risponde punto su punto. Lunedì 16 a Tagadà, su La7, ha parlato Elly Schlein. Il governo, ha detto, «non ha rispetto dell’autonomia della magistratura, il che è indice di uno scarso senso delle istituzioni». La segretaria si è rivolta a Giorgia Meloni: «Ho trovato estremamente inopportuno che la presidente del Consiglio commentasse un processo che è in corso. Il potere esecutivo del governo e quello giudiziario della magistratura sono separati».

Più in generale si tratta un governo di «pasticcioni»: «Non avendo risposte per il paese, ogni giorno la buttano su un complotto. Hanno bisogno di un nemico al giorno. Ma chi si occupa dei problemi dell’Italia?». L’eurodeputato Stefano Bonaccini, sulla stessa rete, ha puntato il dito sulla video-difesa di Salvini, un filmato di quattro minuti con la sua versione dei fatti (versione contestata dai fact-checker), andato in onda per intero su Rai News24. Salvini ha avuto una «reazione trumpiana. Ogni volta si costruisce il nemico di turno, per un ministro che ha tutto il diritto di difendersi nei luoghi deputati alla difesa».

Bonaccini gli augura di «dimostrare di essere innocente» ma «siamo in uno stato di diritto, dove i poteri terzi sono autonomi, non sottoposti al giudizio della politica. Non vorrei che si guardasse troppo a Orbán e all’Ungheria».

Dal Pd tutti attaccano il viceministro: «La vicenda Open Arms è stata un atto disumano, la dimostrazione più evidente della propaganda fallimentare di Salvini sulle politiche migratorie» (Matteo Ricci), «ha utilizzato 147 migranti per fare il suo gioco, ha trattato delle persone come se fossero marionette nelle sue mani, voleva ricattare le istituzioni europee e affermare i suoi pieni poteri. Ma gli è andata male» (Laura Boldrini), «Ci troviamo di fronte a un rischio concreto di tenuta delle istituzioni, di attacco alla separazione dei poteri» (Arturo Scotto).

«La condanna è politica»

Eppure tutti, dal lato dem, stanno attenti a prendersela con la sparate di Salvini e della premier, e quelle del coro della maggioranza, tenendosi alla larga da quello che succederà nell’aula di Palermo. Innanzitutto per evitare che le contestazioni vengano smentite da una sentenza favorevole all’imputato. Lo sottolinea a Domani Marco Furfaro: se Salvini non dovesse essere condannato «non cambia niente», assicura, «la nostra condanna è umana e politica. Chi pensa che il consenso possa arrivare tenendo sequestrati 147 fra bambini, donne e persone fragili ci troverà sempre dalla parte opposta. Sono codardi con il potere vero e feroci con la povera gente. L’Italia è migliore di Salvini e di un governo ipocrita».

Salvini si prepara ad andare all’incasso, a partire dal comizio di Pontida in avanti: in caso di condanna o di assoluzione, ha tutta l’intenzione di cavalcare la sua vicenda giudiziaria. Chiamando fuori dal tribunale di Palermo i parlamentari della destra, come fece Berlusconi nel 2013; e mettendo in moto i militanti. Per questo gli avversari in queste ore ragionano sull’effetto che avrà una campagna della destra che si annuncia come una chiamata alle armi. Certo sarà utile per archiviare i pasticci in cui si è cacciato il governo: dall’affaire Boccia-Sangiuliano all’evocazione di complotti, fino al possibile rimpasto di governo alle porte.

La campagna delle regioni

Ma soprattutto il rischio è che il caso diventi un cavallo di battaglia della destra alle prossime regionali. Anche perché in tutte e tre le regioni al voto la maggioranza di governo parte in svantaggio: in Liguria il patteggiamento di Giovanni Toti, con una sostanziale ammissione di colpa, ha smontato la difesa dei suoi compagni di coalizione; in Umbria la presidente uscente e ricandidata, la leghista Donatella Tesei, è giudicata deludente dagli stessi suoi; in Emilia-Romagna il vantaggio della sinistra è storico.

Schlein sa che lo scontro sarà ruvido. Gli avversari si preparano a buttarla in rissa. Fra l’altro, quello delle politiche di accoglienza è un tema su cui le forze di centrosinistra non sono precisamente un sol uomo. In tribunale l’ex premier Giuseppe Conte si è dissociato dall’operato del suo ex ministro, ma in queste ore i Cinque stelle non si sono stracciati le vesti contro la premier e il suo vice: sfumatura che non sfugge a Salvini. Il pacco è pronto: accusare la sinistra di proporre «l’accoglienza indiscriminata», accusa che peraltro un anno fa proprio Conte ha rivolto alla segretaria Pd. E rivendicare il rigore sui migranti direttamente dalla “dottrina” di Marco Minniti, predecessore di Salvini, e ministro dem all’epoca di Paolo Gentiloni: il Pd di Schlein oggi ha cambiato radicalmente rotta, ma evocare quel periodo resta un modo per spargere sale sulle ferite del suo partito.

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