Un pasticcio a monte di Renato Brunetta, una sentenza del Tar interpretata a valle dal ministro Paolo Zangrillo. Così le università telematiche rafforzano la loro posizione. Almeno alcune di loro, che mettono un fiore all’occhiello alla loro reputazione, realizzando allo stesso tempo un buon affare: l’organizzazione dei corsi per la formazione dei dipendenti pubblici.

Sono entrate dalla porta principale dell’iniziativa Pa 110 e lode, grazie alla sponsorizzazione del governo Meloni, nella figura di Zangrillo. Ma la questione non è archiviata nemmeno dopo il via libera definitivo al decreto Pa bis. Anzi. «Lascia perplessi che la norma voluta dai ministri (del precedente governo, ndr) Brunetta e Messa, per incentivare la formazione con università e master, sia stata estesa anche a tre università telematiche che non hanno la stessa qualità formativa dell’università in presenza», ha detto la senatrice di Italia viva, Silvia Fregolent, parlando in aula.

Il progetto, previsto nell’ambito del Pnrr, si poneva l’obiettivo di migliorare le competenze dei lavoratori statali. Prima riguardava solo gli atenei pubblici, poi si è allargata, come raccontato in un articolo da Domani, interessando le università telematiche, in particolare gli istituti del gruppo Multiversity, controllato dal fondo britannico Cvc.

Il patrocinio politico è del ministro Zangrillo, dirigente di spicco di Forza Italia, che ha sottoscritto il protocollo con l’università telematica Pegaso, la Mercatorum e la San Raffaele Roma. Per motivare questo passaggio, il ministro ha sostenuto - in una lettera inviata a questo quotidiano - di essersi adeguato a una sentenza del Tar del Lazio. Un atto dovuto, insomma. Ma la versione è stata smentita da Fregolent.

Il silenzio di Brunetta

Il caso scoppiò quando l’allora ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, ignorò la documentazione inviata dalla Niccolò Cusano, di proprietà dell’attuale sindaco di Terni, Stefano Bandecchi. Chiedeva come aderire al protocollo, per programmare corsi e lezioni ai dipendenti pubblici.

Per Brunetta la risposta sarebbe stata un atto politico e decise di lasciar correre. Unicusano presentò ricorso al Tar, lanciando una controffensiva legale. Qualche settimana dopo i giudici amministrativi gli hanno dato ragione, sostenendo che il dipartimento della Funzione pubblica avrebbe dovuto almeno fornire una replica. Si trattava di un atto amministrativo, non politico.

Nel pronunciamento, non è stato indicato alcun obbligo sulla stipula dell’accordo per l’adesione ai protocolli. «Da amministrativista - spiega Fregolent a Domani - ho letto la sentenza. Condanna l’assenza di riscontri, ma non impone di accettare, a prescindere, la domanda di ammissione al protocollo». Per questo, osserva la parlamentare di Italia via, «quella di Zangrillo è una decisione politica, legittima, ma non suffragata dal Tar come invece ripete in maniera anche veemente».

Nella parte finale del dispositivo si legge che l’amministrazione - nei successivi 60 giorni - avrebbe dovuto «palesare, mediante un apposito provvedimento, l’intenzione, o meno, di dare attuazione al predetto protocollo». C’è perciò una discrezionalità. Il concetto è rafforzato in un successivo passaggio, che specifica come l’amministrazione pubblica ha sempre la possibilità di «riesaminare la legittimità o l’opportunità della propria partecipazione all’accordo, agendo in autotutela al fine di sciogliersi dal relativo vincolo consensuale».

Il boom telematico

Il pronunciamento del Tar è diventato invece un grimaldello per le università telematiche, che hanno saputo far breccia nella maggioranza di centrodestra. Gli atenei digitali sono 11 su un totale di 97, una porzione che però ha acquisito peso e importanza. L’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca ha evidenziato una vera esplosione di lauree: si è passati dall’1,7 per cento del 2012 al 10 del 2022. Alla crescita non ha fatto da contraltare un incremento del personale docente, come riportato dal dossier dell’Anvur.

Nel 2022 il rapporto tra studenti e docenti nelle università tradizionali era 28,5, con una diminuzione di 1,5 rispetto a dieci anni prima, mentre per quelle telematiche la statistica parla di 384,8 studenti per un solo professore. Nel 2012 il rapporto era a quota 152,2. L’avanzata è sempre più inarrestabile, a dispetto delle annotazioni critiche formulate dagli organismi ufficiali.

Sempre nel dossier Anvur è stata sollevata qualche perplessità sul livello della qualità della ricerca. Su questo punto, spicca solo l’Università telematica San Raffaele, per il resto il confronto con le altre istituzioni sia pubbliche che private non è affatto esaltante.

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