«Io non vorrei che ci fossero morti di serie A e morti di serie B, che la memoria scomparisse». Il copyright della dichiarazione è di Ignazio La Russa, ma il pensiero, declinato in forme e modi diversi, è uno dei capisaldi della destra di governo.  

Giorgia Meloni, nel suo primo discorso davanti alle camere, aveva riservato un passaggio a quella «comunità di uomini e donne che ha sempre agito alla luce del sole e a pieno titolo nelle nostre istituzioni repubblicane, anche negli anni più bui della criminalizzazione e della violenza politica, quando nel nome dell’antifascismo militante ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese».

Il riferimento era a Sergio Ramelli, giovane militante del Fronte della gioventù ucciso a Milano da esponenti di Avanguardia operaia nel 1975. Ad aprile del 2022, non ancora presidente del Consiglio, Meloni aveva partecipato alla commemorazione insieme al sindaco Beppe Sala. E anche allora, come oggi, era stata costretta a parlare di saluti romani. Nessuna condanna, nessuna dissociazione, perché quel braccio destro alzato, aveva detto, «è un semplice gesto che oggi purtroppo serve solo alla sinistra».

Un «semplice gesto» che lo scorso aprile ha concluso, insieme al rito del “presente” ripetuto tre volte, il corteo in ricordo del giovane di destra. È una tradizione, un’espressione identitaria. Uguale a quella che, poco meno di una settimana fa, ha accompagnato la commemorazione dei tragici fatti di Acca Larentia. 

Se ne è discusso fin troppo. Qualcuno ha fatto notare che sono anni che queste cose accadono, nell’indifferenza generale. Altri hanno detto che fare il saluto romano non è necessariamente un reato. Altri ancora hanno denunciato il pericoloso rigurgito fascista. 

La premier, che pure in passato, proprio come con Ramelli, aveva partecipato anche alle commemorazioni di Acca Larentia, ha preferito rimanere in silenzio. Poi, incalzata dalle opposizioni, ha deciso di difendersi sciorinando i dati Istat sull’occupazione: «Agli attacchi gratuiti e alle polemiche strumentali degli ultimi giorni da parte di certa opposizione, questo governo continua a rispondere con fatti e risultati».

Al di là dell’evidente imbarazzo per ciò che è accaduto, la non risposta di Meloni è un problema soprattutto per quella «comunità di uomini e donne» che tanto le sta a cuore. Perché è sicuramente vero che una presidente del Consiglio non può passare il suo tempo a occuparsi di commemorazioni, ma a Meloni la cosa non dispiace affatto. Non ha fatto mancare, ad esempio, il suo messaggio in occasione del 50° anniversario della strage di Primavalle (16 aprile 1973) ricordando, giustamente, «il barbaro assassinio di Stefano e Virgilio Mattei», «colpevoli di essere figli del segretario della locale sezione del Msi». Così come, pochi giorni fa, ha ricordato l’anniversario dell’«uccisione del giornalista Beppe Alfano (anche lui militante del Msi ndr) per mano mafiosa» avvenuto l’8 gennaio del 1983.

Avrebbe potuto rivolgere un pensiero anche Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta i due giovani militanti del Fronte della gioventù assassinati 26 anni fa davanti alla sede del Msi di via Acca Larenzia (il terzo, Stefano Recchioni, è morto durante gli scontri con le forze dell’ordine). Magari aggiungendo che per lei fare il saluto romano per commemorare le vittime di destra della violenza politica degli anni di piombo è sbagliato. Che lei non si riconosce in quel «semplice gesto» che richiama alla memoria momenti drammatici della nostra storia. Ma ha preferito parlare dei dati Istat. Forse perché, per dirla con le parole di La Russa, anche nella memoria della premier, esistono morti di serie A e morti di serie B.

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