«Power tends to corrupt and absolute power corrupts absolutely. Great men are almost always bad men». (Il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe in modo assoluto. Gli uomini di potere sono quasi sempre malvagi).

Questa abbastanza famosa citazione é una frase di Lord Acton (1834-1902) che contiene una pluralità di implicazioni. Prima implicazione: il potere deve essere limitato nella quantità e nel tempo. Seconda implicazione: il potere si accompagna spesso alla corruzione e, viceversa, la corruzione può spesso servire ad acquisire il potere. Dunque, terza implicazione, il potere deve essere sottoposto a controllo (controllando il potere viene controllata anche la corruzione).

Chi, come, quando é chiamato a esercitare controllo sul potere rimane un problema aperto al quale é possibile suggerire soluzioni temporanee – non estemporanee – sempre rivedibili e migliorabili anche perché il potere é mutevole nelle sue manifestazioni. Anche la corruzione si manifesta in forme e modalità diverse e, dunque, richiede mutevoli capacità da parte di chi mira a identificarla, porla sotto controllo, improbabilmente eliminarla del tutto.

Il lettore avrà notato che fin qui non ho accompagnato la parola potere con nessun aggettivo, neppure i due aggettivi che, secondo molti, studiosi e no, più frequentemente lo caratterizzano: politico e economico (o, viceversa). In verità, l’aggettivazione di potere é molto abbondante.

Il potere

Alessandro Roncaglia, economista keynesiano, allievo di Paolo Sylos Labini, autore di questo denso libro Il potere. Una prospettiva riformista (Bari-Roma, Laterza 2023, pp. 290) ha scelto di occuparsi sostanzialmente di tre tipi di potere aggiungendo il potere culturale a quello economico e politico.

Fermo restando che ritengo auspicabile e utile aggiungere almeno altri tre tipi di potere: religioso, militare e burocratico, che possono addirittura plasmare governi e regimi, lascio la parola per esteso all’autore per la definizione dei tipi di potere da lui ritenuti importanti.

«Il potere economico dipende dalla ricchezza e dal reddito, ma anche del ruolo – o dalla assenza di ruolo –  nel processo produttivo, quindi dalla stratificazione sociale generata dalla divisione del lavoro, dalle forme di mercato prevalenti, dalla struttura dei mercati finanziari e così via».

«Il potere politico nella sua accezione più ampia include non solo l’eventuale partecipazione attiva alla vita politica e alle diverse istituzioni statali, ma anche l’eventuale partecipazione a reti bianche, grigie e nere». 

«Il potere culturale implica la distinzione tra dominio ed egemonia, il ruolo della religione e quello delle masse, il controllo degli organi di informazione tradizionali e dei nuovi media». (pag. 239-240).

Diverse definizioni di potere

Tutti dovremmo sapere – Roncaglia lo sa – che esistono altre classificazioni di potere fra le quali la giustamente più famosa é stata formulata da Max Weber: potere tradizionale, potere carismatico, potere legale-razionale, ciascuno fondato su precise basi di legittimità che, qualora vengano meno, producono il collasso di quel tipo di potere.

Last but not least, tanto tempo fa da Norberto Bobbio ho imparato che la legittimazione del potere, sia politico sia religioso, può avere due fonti: ex titulo e quoad exercitium, vale a dire, a seconda delle modalità di acquisizione e delle modalità di esercizio.

Una ribellione, un golpe militare, l’assassinio di un re, una rivoluzione non sono buoni “titoli” per andare al potere, ma coloro che quel potere hanno ottenuto possono legittimarlo/si con un esercizio accorto nell’interesse del sistema politico migliorando le condizioni di vita dei cittadini.

Duo indissolubile 

In realtà, Roncaglia é sostanzialmente interessato ai rapporti fra economia e politica. Per la pars destruens i suoi acuminati strali sono diretti contro il liberismo, a cominciare dal bersaglio grosso, ovvero il Premio Nobel Friedrich von Hayek e la tesi della regolamentazione del mercato a opera della famosa o meglio famigerata mano invisibile che produrrebbe l’esito migliore in assoluto tanto dal punto di vista economico quanto da quello etico.

Non so se la mano invisibile é responsabile anche dell’assegnazione del Premio Nobel a Milton Friedman, ma qualche approfondimento su mani visibili e invisibili che manipolano il potere mi pare necessario.

Anche su questo Bobbio ha scritto pagine importanti, contro gli arcana imperii e a favore del massimo possibile di trasparenza senza illusoriamente e pericolosamente colpire anche la riservatezza, quella sfera intima che dovremmo definire privacy e custodire gelosamente.

Il nucleo fondamentale del potere

 Nella sua versione più semplice (nient’affatto semplicistica), il potere é la capacità di obbligare gli altri a fare azioni che altrimenti non eseguirebbero. Tralascio, ma considero rilevante per qualsiasi discorso sul potere, non solo politico, sottolineare che alcuni studiosi hanno messo l’accento su una qualità del potere da loro – e da molti – considerata decisiva.

Potere é impedire che alcune tematiche o problematiche giungano mai a essere prese in considerazione. In proposito, la mano invisibile non si esercita nella produzione di ordine e di equilibrio, ma nel mantenimento dello status quo favorendo coloro che da quello status traggono vantaggi.

Dunque, questo potere é eminentemente conservatore. Vale la pena riflettere su quante volte in quali circostanze e con quali esiti ciascuno di noi ha, con maggiore o minore consapevolezza, intuito e percepito la manifestazione di questo tipo di potere interrogandosi su chi ne disponeva.

L’argomento, se non spinto ai limiti del complottismo, é affascinante, ma, ovviamente, richiede esplorazioni di grandissima complessità. Opportunamente, Roncaglia vi fa cenno trattando della meritocrazia con riferimento alle reti «di collegamento tra agenti che rendono squilibrati i rapporti di potere, ostacolando la corrispondenza tra meriti e collocazione lavorativa e sociale» (pag. 94). Però, il suo interesse più acuto sta altrove, nella ricerca e nella messa in opera del potere in «una prospettiva riformista» che é il sottotitolo del libro.

Le riforme di struttura

 A parlare sono le appartenenze ideali dell’autore e le sue preferenze politiche di socialista lombardiano. Anch’io, per quel poco che conta, ho sentito il fascino di Riccardo Lombardi, antifascista, primo prefetto della Milano liberata, autorevole burbero leader della corrente di sinistra che formulò la tesi della necessità di procedere a «riforme di struttura».

Questo tipo di riforme non dovevano soltanto risolvere problemi socio-economici: case, scuole, ospedali, trasporti (binari e non gomma), energia elettrica, opere pubbliche. Dovevano in special modo ridurre le diseguaglianze spostando in maniera significativa – forse irreversibile – il potere dai proprietari ai lavoratori.

Roncaglia chiude la sua densissima analisi affermando che «la riforma di struttura più urgente é quella del sistema di relazioni internazionali, per evitare la concorrenza al ribasso tra gli stati in campo ambientale, fiscale e regolamentare» (pag. 260) realizzando «accordi sufficientemente ampi» (pag. 261). Ma l’Unione Europea non é già un luogo di questi accordi? Comunque l’obiettivo é nobile e condivisibile, ma come?

Quanto alle riforme di struttura in Italia, Roncaglia ne indica tre: pubblica amministrazione, sistema tributario, giustizia civile. Condivido aggiungendo, memore di quanto significativa fu a metà anni Sessanta la riforma nota come scuola media unica, l’intero sistema dell’istruzione.

Anche in questo caso, però, manca qualcosa. Come costruire una coalizione di idee e interessi capace di concentrare sufficiente potere riformista per il tempo necessario all’attuazione pratica delle essenziali riforme di struttura?

Tutto questo oggi e domani é possibile stabilendo quali rapporti, accordi, convergenze con e nell’Unione Europea? Il libro di Roncaglia fa pensare. C’é ancora davvero molto a cui i riformisti debbono pensare. Bene sarebbe cominciare adesso e (da) qui.

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