La soluzione dei ribelli potrebbe chiamarsi astensione. È questa l’ipotesi che si diffonde con l’avvicinarsi progressivo del momento in cui i parlamentari dovranno scegliere se stare con Mario Draghi e seguire le indicazioni degli attivisti intervenuti su Rousseau oppure negare la fiducia e posizionarsi automaticamente fuori dal Movimento. O, per l’appunto, astenersi o non presentarsi.

Crimi è stato netto, votare No equivarrà a disattendere la decisione di Roussau: la conseguenza diretta sarà l’espulsione. Le indicazioni sono meno chiare per quanto riguarda l’astensione, che nei fatti dovrebbe avere lo stesso tipo di conseguenze.

E alla Camera, dopo che Draghi non ha neanche citato il Reddito di cittadinanza, l’indignazione è tanta e potrebbe portare a conseguenze sul voto di oggi.

I numeri dei possibili esuli restano relativamente bassi, ma le fenditure che corrono nel Movimento sono sempre di più e delimitano microgruppi sempre più numerosi che a seconda della convenienza si alleano tra loro: alla questione Draghi si intreccia il futuro della gerarchia dei Cinque stelle.

Ieri è arrivato il via libera di Rousseau alla creazione del nuovo organo collegiale che orienterà il futuro del Movimento: una decisione che mette definitivamente fuori dai giochi Crimi, la cui leadership da tempo non è più considerata legittimata.

Coglie la palla al balzo la senatrice Barbara Lezzi, critica nei confronti di Draghi ma sospettata anche di guardare a un posto nel direttorio: «Crimi non può più decidere nulla in nome o per conto del M5s». La situazione per lei e gli altri ribelli si fa complicata: se voteranno No si autoescludono dal Movimento (e non è ancora chiaro se la scialuppa di salvataggio, potenzialmente rappresentata da un nuovo gruppo parlamentare sotto il simbolo di Antonio Ingroia sia già pronta), se si astengono probabilmente pure. Se decidessero per il Sì resterebbero in partita per entrare nell’organo, ma passerebbero dal lato dei “traditori governisti”, giocandosi in un solo colpo tutti i consensi raccolti tra i critici.

Manovre e conteggi

Nei giorni scorsi i vertici del Movimento le avevano tentate tutte per avere la certezza dei numeri, ma i senatori riottosi non hanno cambiato idea neanche di fronte alla creazione di un intergruppo Pd-M5s-Leu che ricalca l’alleanza per lo sviluppo economico lanciata da Giuseppe Conte, una mossa in extremis negoziata martedì dai tre capigruppo per rassicurare chi non ha più fiducia neanche nel garante Beppe Grillo.

Sono una decina, intervengono in dissenso dal gruppo poco prima del voto, in tarda serata, i loro discorsi vertono su quanto fino a pochi anni fa Mario Draghi fosse il rappresentante delle élite europee che i grillini detestavano e su quanto ora i toni siano nettamente diversi. Ormai sono con un piede fuori dal M5s, ma bisogna vedere se anche alla Camera i dissidenti sceglieranno il voto contrario oppure decideranno di astenersi. Intanto, per il post-voto, quando ciascuno avrà fatto la sua scelta, si concretizza una presa di posizione pubblica dei ribelli, probabilmente sotto forma di conferenza stampa. Se in quell’occasione sarà annunciato l’addio (sempre che non intervenga prima la gerarchia Cinque stelle con un’espulsione) non è ancora chiaro.

Interessi intrecciati

Come se non bastasse, allo scontro su Draghi e alla questione della governance interna nella giornata di ieri si aggiunge la mossa di Virginia Raggi. La sindaca uscente chiede chiarezza sulle prossime amministrative, a rischio rinvio ma per il momento ancora in programma per la tarda primavera: «È il momento che la base M5s si esprima sulla mia candidatura a Roma. Basta ambiguità. Se qualcuno ha altri piani sulla città lo dica apertamente».

Il tempismo di Raggi fa sospettare a più di qualcuno che si tratti di una presa di posizione per sgomberare il campo da potenziali rivali: nei giorni scorsi il nome di Roberto Gualtieri ha preso quota e l’intervento della prima cittadina punterebbe proprio a togliere di mezzo possibili nomi alternativi “di coalizione”. C’è poi chi ricorda che Raggi ha un credito da riscuotere: «Lei si è esposta per Draghi, ora vuole incassare una contropartita all’endorsement», spiega un deputato. Ad aumentare l’entropia del Movimento pensa di nuovo Lezzi, che pur ponendosi in maniera critica nei confronti di Draghi si accoda alla richiesta di Raggi praticamente in tempo reale. A queste tensioni si aggiunge anche la partita dei sottosegretari, che nel Movimento è in mano a Crimi. I posti a disposizione sono undici, per il momento si parla con di riconferma certa solo per Laura Castelli e Stefano Buffagni. Di Maio potrebbe spendersi anche per il suo fedelissimo Manlio Di Stefano, ma ha poca influenza politica da investire in questo momento.

Restano in ballo Carlo Sibilia e soprattutto Giancarlo Cancelleri: mantenere al proprio posto l’ex viceministro dei Trasporti di Caltanissetta potrebbe rasserenare la fronda “sudista”. Dalla presentazione della lista dei ministri i portavoce meridionali sono infatti furiosi per la scarsa presenza di loro rappresentanti nell’esecutivo.

Il sud è e resta uno dei maggiori bacini di voti per il Movimento: per il momento la fedeltà dei parlamentari non è in discussione, ma per non correre ulteriori rischi ci sarà senz’altro bisogno di una contropartita. 

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