Dici Acca Larentia e le immagini sono ancora fresche: gennaio scorso, centinaia di neofascisti schierati a braccio levato, l’eterno rito del “presente”. E poi le proteste, le polemiche, gli identificati e il solito pugno di denunciati. Tutto già visto.

Nel Walhalla dell’estrema destra romana, dove si commemorano le vittime del 7 gennaio 1978, i giovani Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni (i primi due uccisi da un mai identificato commando di estrema sinistra, il terzo poche ore dopo da un carabiniere, pure ignoto, che sparò contro i loro camerati radunatisi sul luogo dell’agguato), vige la legge del tempo che non passa. Mentre la grande croce celtica sul selciato della strada, a mo’ di sagrato pagano, zoomando neppure troppo è visibile pure su Google Maps.

La catena di tragedie

La vertigine ti coglie già dalla seconda pagina, quando l’autrice (romana, classe 1991) ti butta lì questa cosa satellitare. E non puoi fare a meno di verificarla, una volta che l’hai letta: sì, eccola lì, enorme. «Occupa quattro numeri civici», leggi ancora. In quel momento capisci che la storia che stai iniziando a leggere è di quelle che non potrai lasciare fino a quando non avrai girato l’ultima pagina. E a quel punto vorrai saperne di più, perché è una storia talmente angosciante da non permetterti di abbandonarla lì.

Nelle intenzioni del cronista, questo articolo che avete iniziato a leggere sarebbe dovuto proseguire raccontandola, questa storia, almeno per sommi capi. E invitando il lettore a scoprirla, divorando il libro di Valentina Mira Dalla stessa parte mi troverai, uscito ancora a gennaio per Sem.

Libro che però parla della quarta vittima di Acca Larentia: Mario Scrocca, militante della parte opposta, arrestato nove anni dopo i fatti con l’accusa (infondata: l’inchiesta lo certificherà) di aver fatto parte di quel commando, e ritrovato morto dopo ventiquattr’ore di carcere sorvegliato a vista in una cella “anti impiccagione” di Regina Coeli, ufficialmente suicida – guarda caso – proprio impiccandosi.

Scrocca che peraltro sarebbe la quinta vittima, visto che dopo la strage di Acca Larentia (non è chiaro quanti mesi trascorsero, anche le fonti di destra sul punto divergono) per la disperazione si tolse la vita pure il padre di Ciavatta. Una catena di tragedie.

Le polemiche

Nel frattempo sono però accadute due cose notevoli: la prima del tutto inattesa, la seconda invece a questa conseguente e, verrebbe da dire, prevedibilissima. Partiamo dalla prima, tutta letteraria, come si conviene a un libro: tra i dodici finalisti del Premio Strega c’è anche Dalla stessa parte mi troverai.

E non si starà qui a disquisire su giurati e criteri, men che meno sulla composizione della dozzina: lo Strega è come la Nazionale di calcio, tutti coloro che di libri si occupano (scrivendoli, pubblicandoli, recensendoli) hanno da dire la loro.

Non parliamo poi dei lettori, benché siano sempre meno: il dopo annuncio dei finalisti, infatti, ha vissuto soprattutto di commenti circa i loro risultati di vendita, per via di una precisa tabella – che raramente è capitato di leggere – condivisa su Facebook da Riccardo Cavallero, già direttore di Mondadori Libri e poi editore/fondatore proprio di Sem. È poi girata maliziosamente in rete a certificare esiti fin qui non troppo lusinghieri. Ma lo Strega serve proprio a moltiplicare acquisti e tirature, no?

La seconda circostanza di cui si diceva non ha invece a che fare con la letteratura, bensì con la politica. E c’era da aspettarselo. È infatti partito il fuoco di sbarramento contro Valentina Mira e il suo romanzo. Pesantissimo, coordinato. E tutto da destra.

In un pugno di giorni, Dalla stessa parte mi troverai è stato brutalizzato da testate come Libero, il Giornale e Il Secolo d’Italia, con immediato e inevitabile tam tam via social, dove i commenti dei lettori di quella parte politica sono quelli che potete immaginare. Perché guai a toccare il pantheon della destra, specie se lo si fa citando anche l’attuale presidente del Consiglio, immortalata da un telegiornale nel 2008 (pagina 15 di 247 del libro di Mira) «mentre deposita una corona di fiori sulla croce celtica nera più grossa che Google Maps abbia mai immortalato».

L’oblio

Valentina Mira

Questa però voleva essere una recensione, transeat quindi sulle schermaglie da destra. E torniamo al libro. Che è prima di tutto il racconto lievissimo di una storia d’amore: quella tra Mario Scrocca e Rossella Scarponi, la sua vedova.

Ma non chiamatela così, anzi, non pensatela neppure attraverso quella parola: andate piuttosto alla ricerca di Soli soli, il suo libro pubblicato ormai cinque anni fa da Sensibili alle Foglie in cui, a metà tra romanzo di formazione e reportage di denuncia, ha narrato la propria terribile storia. E sono pagine tremende.

Da lì parte Valentina Mira, perché il suo racconto è anche la storia della propria amicizia con Rossella: e pure qui siamo nel medesimo registro narrativo, attraverso un progressivo disvelamento di accadimenti che, procedendo tra cronaca ed emozioni, accompagna il lettore nel viaggio dell’autrice tra passato e presente, rievocando comunità di “compagneria” della capitale negli anni Settanta e Ottanta: quelli dell’amore tra Rossella e Mario – oltre che della nascita del loro figlio Tiziano – e della misteriosa morte del giovane in carcere. Con tutto ciò che ne seguì.

E si tratta di un’enormità di cose, per le quali basta però una sola amara parola: oblio. Quanti di voi infatti oggi conoscono la vicenda di Mario Scrocca?

La lupa

È anche il racconto di un’ossessione: quella della stessa autrice. Che si nutre pure di improvvisi (e terribili) squadri autobiografici: una violenza sessuale, un rapporto malato con un giovane fascista. Sono temi su cui Mira ha peraltro costruito il suo primo romanzo X, pubblicato nel 2021 da Fandango.

Ed è un racconto che è impossibile separare dal contesto geografico, e sociale, e politico, in cui la narrazione procede: la Garbatella, Tor Pignattara, la Casilina. E Acca Larentia, certo, che i romani sanno essere – nella leggenda – la moglie del pastore che salvò Romolo e Remo.

Mira proprio da lì parte, dal mito della lupa: come cioè gli antichi romani indicavano le prostitute. E siamo alla prima pagina del libro: «Roma sorge dalla violenza. Da due parti inconciliabili, e dalla scelta di una delle due di prevalere sull’altra. Roma nasce dalla violenza. Inizia tutto con una lupa. Con il latte e con il sangue. E così continua».

Il vittimismo

Valentina Mira scrive come un demonio, di pari passo sia con la frenesia del lettore nei passaggi più concitati (l’arresto di Mario, la casa invasa dai carabinieri e un titolo che suona come una mitragliata: “La notte più notte di tutte”) sia con il suo struggimento via via che gli anni trascorrono, invecchiando i protagonisti e spezzando legami.

Ma anche plasmandone di nuovi. In uno dei capitoli conclusivi, l’autrice cerca infine di spiegare, come da titolo, “Il cuore di queste pagine”. Perché alla fine è sempre questione di cuore, per chi ce l’ha. E si torna al proprio vissuto, «una sorta di colpa da espiare: il fascismo dentro e intorno a me. (…) è per questo che scrivo. Per provare a fornire anticorpi». E mai come oggi se ne sente un gran bisogno.

In queste pagine finali, quando però il lettore è ancora lontano dal conoscere la sorprendente conclusione del libro (di cui nulla si dirà), Mira tocca anche una questione delicata: ha a che fare con il concetto di vittima e con quello di carnefice. E con la questione delle questioni, nell’Italia destrorsa dei giorni nostri: il concetto di vittimismo.

Lo fa accennando alla strage di Bologna, autentico tabù per la destra oggi al governo: una questione giudiziaria ancora apertissima, a quasi 44 anni di distanza da quegli 85 morti, un processo (quello a Paolo Bellini in appello) è ancora in corso proprio in questi giorni e si avvia alla conclusione. E anche per via di Acca Larentia, è noto, Fioravanti e Mambro si fecero terroristi.

L’oblio che ha avvolto il povero Mario Scrocca, in questo caso non è ancora calato. E ci mancherebbe. Ma un po’ di confusione sul vittimismo in questi anni lo si è fatto eccome. Ecco, basterebbe solo questo per comprendere Dalla stessa parte mi troverai e la sua irrinunciabile urgenza.

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