Memoria, Verdad y Justicia, c’è scritto all'ingresso dell’Esma, l’Espacio Memoria y Derechos Humanos a Buenos Aires, nel luogo che fu la scuola di formazione degli ufficiali della Marina, uno dei centri di detenzione e tortura della dittatura militare argentina negli anni '70 e '80.

Non è un luogo isolato, di fronte ci sono palazzoni, accanto una scuola, la stessa di allora. Nella caserma mettevano la musica a tutto volume per coprire le urla delle sevizie. Si cammina tra i volti degli scomparsi che ti guardano, oggi impressi sulle finestre: militanti, studenti, insegnanti, medici, suore. I fantasmi dei 30mila desaparecidos, le vittime della guerra sucia, la guerra sporca, combattuta dai golpisti argentini contro il proprio popolo.

Uno dei capi della giunta, l’ammiraglio Emilio Massera, era iscritto alla loggia massonica P2. Il gran maestro Licio Gelli gli scrisse nel 1976 per complimentarsi del golpe: «Un governo forte può dare alla Nazione quel che necessita».

Era lo stesso progetto che ha insanguinato l’Italia per quindici anni. Anche l’Italia ha avuto la sua guerra sporca, non dichiarata. Non abbiamo avuto i desaparecidos, i nostri fantasmi sono le vittime di piazza Fontana il 12 dicembre 1969, di piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1974, del treno Italicus nella notte tra il 3 e il 4 agosto, cinquant’anni fa, senza giustizia e senza memoria, e gli 85 morti della stazione di Bologna, il 2 agosto 1980, nella strage che, per le sentenze, fu pagata da Gelli.

Vittima con le vittime

Paolo Bolognesi quel giorno perse la suocera, il figlio che aveva sei anni fu gravemente ferito. Oggi è il presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna. Penso sempre a quelle famiglie che hanno salvato l’onore dello stato disonorato dai suoi uomini, quando vado a Bologna, ogni anno il 2 agosto.

C’ero anche due giorni fa. Consiglierei di venire prima di tutto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ha osato fare la vittima con le vittime in un giorno che per lei, rappresentante delle istituzioni, dovrebbe essere sacro, e poi a chi scrive e parla senza sapere.

Venite ad ascoltare i tre fischi del treno alle ore 10.25 in punto, in un silenzio irreale. Venite a vedere l’autobus 37 che si trasformò in ambulanza, i lenzuoli ai finestrini per coprire i corpi. Alzate lo sguardo verso l’orologio fermo a quell’istante che è la nostra memoria collettiva, che non si può revisionare, non si può rimuovere, come si vorrebbe fare in questi giorni.

Sono stragi fasciste con mandanti e complicità nello stato: lo gridano sentenze, documenti, testimonianze, i vivi e i morti, se li vogliamo sentire, se non vogliamo alzare anche noi la musica a tutto volume.

«La verità d’assieme»

Non c’è stato un antifascismo viscerale in Italia, come ha scritto ieri Giovanni Orsina sulla Stampa. Gli antifascisti hanno semmai firmato l’amnistia per i fascisti, e poi li hanno accolti in parlamento.

Nelle viscere profonde, invece, c’è stato un anticomunismo anticostituzionale, che all’ombra della Guerra fredda ha tollerato perfino la strategia stragista, oltre che le convenienze di affari e di carriera che sono il tratto tipico del piduista.

Ben distinto dall’anticomunismo democratico che puntava sull’evoluzione del Pci, sulla sua emancipazione da Mosca, e sulla maturità del paese. Quello di Aldo Moro, odiato dalle destre, ucciso dalle Brigate rosse, l’eversione di sinistra, che è l’altra manovalanza.

Se l’Italia non è finita come l’Argentina o il Cile è anche perché quella classe dirigente democratica, e democristiana, ha fatto da argine alla sospensione dei principi costituzionali, pagando un prezzo altissimo. E quella comunista isolò l’opzione armata a sinistra.

Spezzettare le sentenze giudiziarie e frammentare le interpretazioni storiche significa tradire «la verità d’assieme», come la chiamò il giudice Mario Amato il 13 giugno 1980 davanti al Csm, dieci giorni prima di essere assassinato dagli stessi neofascisti che un mese e mezzo dopo metteranno la bomba a Bologna.

Memoria, verità, giustizia

Di questa verità d'assieme fanno parte anche gli uomini che tradirono la Repubblica, abbandonando cittadini inermi al massacro, e il ruolo del Movimento sociale che come erede del fascismo era un bacino naturale di reclutamento, ma anche la «sputacchiera», parola del capo missino Giulio Caradonna, quando i generali del Sifar e del Sid De Lorenzo e Miceli furono eletti senatori del Msi.

Se il gruppo dirigente del partito di Almirante provò a resistere è l’ora di raccontarlo, invece di considerare martiri Mambro e Fioravanti. E se non l'ha fatto bisogna spiegarne il motivo, senza ambiguità. Non si cambia la Costituzione con la fiamma nel simbolo, senza questa operazione. Di memoria, verità, giustizia.

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