- Che Vittorio Sgarbi si improvvisasse Sancho Panza di Silvio Berlusconi non piace dall’inizio al gruppetto degli «amigos del presidente», quelli che ormai da anni ne condizionano le scelte per tenere Forza Italia inchiavardata alla Lega.
- Intanto sul Sole 24 ore il politologo Roberto D’Alimonte ragiona sui numeri dei grandi elettori: il centrosinistra sta di un soffio sopra il centrodestra, ma a patto di computare i 44 voti di Italia viva nello schieramento originario.
- Il beau geste di Berlusconi è possibile, probabile, e per il gli alleati ormai è indispensabile per evitare che la somma dei voti non faccia il totale e faccia esplodere il centrodestra.
Che Vittorio Sgarbi si improvvisasse Sancho Panza di Silvio Berlusconi non piace dall’inizio al gruppetto degli «amigos del presidente», quelli che ormai da anni ne condizionano le scelte per tenere Forza Italia inchiavardata alla Lega.
Per questo ieri appena il critico d’arte ha “rivelato” a Radio uno che «l’operazione Scoiattolo» è fallita, che nonostante il suo lavoro di telefonista «mancano 100 voti», che l’ex Cavaliere è «abbastanza triste» e si dispone a ritirarsi dalla corsa e a proporre un altro nome al posto del proprio, i due famigli più stretti della corte di Arcore si sono precipitati a smentire.
Antonio Tajani, vicepresidente di FI: «Sgarbi non è il portavoce di Berlusconi, non c’è una opzione alternativa». Licia Ronzulli: «Il presidente non ha ancora sciolto la riserva, quando lo farà – e noi speriamo che sarà una risposta positiva – sarà lui stesso a comunicarlo, in primis agli alleati che glielo hanno chiesto».
Questo succede nel primo pomeriggio. Dalla mattina nelle chat delle redazioni svuotate dalla pandemia trilla la notizia che Berlusconi sta per annunciare il passo indietro. Sarà domani, giovedì, al vertice del centrodestra.
Intanto sul Sole 24 ore il politologo Roberto D’Alimonte ragiona sui numeri dei grandi elettori: il centrosinistra sta di un soffio sopra il centrodestra, ma a patto di computare i 44 voti di Italia viva nello schieramento originario.
Quanto a Berlusconi, nessuno può confermare se e cosa abbia deciso. Nessuno, neanche i più vicini. Siamo oltre il classico giallo, siamo al thriller psicologico, perché i Berlusconi di cui viene riferito sono almeno due, e diversi; e al thriller politico, visto che il centrodestra rischia l’osso del collo.
A favore della versione del ritiro ci tre sono indizi. Che però a ben guardare sono più «spintarelle» verso questo finale: gli «ultimatum» di Salvini, che si contraddice tre volte al dì per far capire all’ex cavaliere che è tempo di smetterla; e annuncia una imminente proposta. Poi c’è la letterina pubblicata dal Tirreno in cui Denis Verdini chiama in causa Fedele Confalonieri e Gianni Letta, il trio della vecchia guardia dai tempi d’oro del Biscione: «È stato bello sognare di mandare Silvio al Quirinale», scrive, ma ora l’ex premier deve lasciare lo scettro del kingmaker a Salvini (peraltro è suo suocero) «perché il centrodestra mai è stato così vicino, nei numeri, a poter conseguire un risultato che mai ha ottenuto».
Terzo indizio: una visita di Gianni Letta al capo di gabinetto di Draghi Antonio Funiciello, lo scorso 14 gennaio; da palazzo Chigi però negano l’attinenza dell’incontro a questioni quirinalizie: «Non si è parlato di Colle, qui vediamo molti consiglieri politici», viene risposto. Ma tre indizi non fanno una prova.
Il beau geste di Berlusconi è possibile, probabile, e per il gli alleati ormai è indispensabile per evitare che la somma dei voti non faccia il totale e faccia esplodere il centrodestra. «Penso che Berlusconi non debba finire come Prodi», predica e predice Giovanni Toti, leader di Coraggio Italia, i trenta centristi di cui Berlusconi si fida pochissimo.
Se l’ex Cavaliere ringraziasse delle dimostrazioni di affetto dei suoi, vere o false che siano (ieri sul Giornale c’era un’intervista tutta rose e fiori della ministra Mara Carfagna, veniva letta come l’omaggio finale all’anziano leader prima del ritiro), facesse un passo indietro e indicasse al suo posto un altro nome, diventerebbe lui il «kingmaker» del prossimo Colle. Fregando Salvini che nel frattempo lavora su Pera, Frattini e Casellati.
Secondo Sgarbi Berlusconi invece indicherebbe Sergio Mattarella; fra i ministri c’è chi pensa che il prescelto sia Mario Draghi; a palazzo Madama i dem sono nel panico: «Votare la presidente? Non se ne parla», spiega un senatore esperto. Ma il Pd può dire no a tutti i nomi della destra? Oggi, al vertice dei leader giallorossi, Letta-Conte-Speranza, potrebbe calare il veto del M5s su Draghi. Eppure c’è chi ha parlato con Berlusconi. E riferisce che le cose non stanno come dice Sgarbi e come sperano tutti. Giura che lui ci crede ancora, che è ancora «caricato a palla, del resto da due anni Salvini lo illude», che impallidisce in maniera preoccupante di fronte a chi avanza perplessità sul numero dei suoi voti reali.
Perplessità che del resto nessuno osa avanzare in sua presenza. Nessuno lo ha fatto all’ultimo vertice a Villa Grande, quando l’ex Cavaliere ha detto: «Vi ringrazio di avermi scelto, ma se qualcuno ha dei dubbi lo dica e io mi fermo». Nessuno degli sventurati presenti ha risposto.
A caccia di voti, Berlusconi, dopo le strenne natalizie ai suoi parlamentari, per lo più piccole tele con vedute di città, ha fatto anche telefonate in prima persona, dimostrando conoscenza delle iniziative di ciascuno. Oggi è annunciato a Roma, a Villa Grande, per preparare il summit di giovedì con gli alleati. Ma ieri a quelli a cui ha risposto al telefono, da Arcore, ha detto: «Non ho deciso ma sono molto ottimista. Non deluderò chi mi ha dato fiducia». Qualsiasi cosa volesse dire.
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