Il traguardo è in vista. Dopo che i vertici scelti dal governo Meloni hanno dovuto aspettare ben più della loro naturale scadenza, sembra essere arrivata la fine del limbo in cui si muovono, da maggio a questa parte Giampaolo Rossi e gli altri colonnelli meloniani della Rai. Giovedì 26 è la data che dovrebbe segnare l’incoronazione del “Bussola”, il faro intellettuale di Colle Oppio, sulla poltrona che desidera fin da quando è entrato in Rainet sponsorizzato da Destra protagonista di Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa. quella di amministratore delegato di viale Mazzini.

Ma lo stesso giorno, oltre alla melonizzazione definitiva degli uffici della Rai da parte della maggioranza, potrebbe consumarsi anche il tramonto del campo largo, sempre evocato e mai del tutto decollato, zavorrato da veti reciproci e interessi contrastanti. La ragione sta nel rapporto sotterraneo tra Giorgia Meloni e Giuseppe Conte. Nessuno vuole parlarne apertamente, ma il filo diretto tra i due leader non è mai stato interrotto, neanche durante le fasi in cui il Movimento si è trovato più in linea con la strategia del Pd.

La Rai è stato il contesto in cui le affinità elettive tra i due sono venute fuori in maniera più cristallina. Alessandro di Majo, il consigliere d’amministrazione più vicino all’area pentastellata, è l’unico che ha avallato con una certa costanza le decisioni del tandem Rossi-Sergio e difficilmente disertava gli eventi aziendali. I suoi voti a favore non sono passati inosservati: il sì al contratto di servizio e al piano per gli esuberi ha garantito al M5s una direzione di testata, una di genere, e la direzione di Radio2, oltre a una solida rappresentanza nei palinsesti del servizio pubblico.

Per i Cinque stelle è stato addirittura inventata una carica che prima non esisteva, il terzo condirettore della Tgr, affidata a Roberto Gueli, che la esercita da Palermo. Anche nelle ultime settimane Conte ha manifestato la sua disponibilità a votare un candidato «autorevole». La presidente M5s della Vigilanza, Barbara Floridia, ha accolto con favore l’apertura della maggioranza sulla riforma della legge sulla governance.

Tanti puntini che qualcuno ha collegato per leggerci una sponda a disposizione della maggioranza. Ma anche nel caso in cui il M5s dovesse finire per sostenere Simona Agnes come presidente – ufficialmente i grillini si sederebbero al tavolo solo di fronte a un altro nome – non sarebbe senza contropartita.

La vigilanza

In zona Cinque stelle giurano che in commissione Vigilanza, di fronte alla votazione per confermare Agnes, le opposizioni usciranno tutte dall’aula per evitare il rischio dei franchi tiratori. Resta il fatto che Meloni, che ha a lungo cercato un modo per far allineare gli astri, ha guardato proprio a Conte come primo interlocutore per recuperare i voti necessari. Ne mancherebbero due, anche se non è certo se giovedì Mariastella Gelmini, che ha lasciato Azione ma non ha ancora ufficializzato il passaggio di gruppo, sarà presente.

Ma stavolta il prezzo dei due voti che mancano all’azzurra sarebbe altissimo: i grillini starebbero tenendo il punto sul Tg3, a cui ambiscono da tempo. A via di Campo Marzio, però, non c’è freno all’ambizione e c'è chi evoca un (complicato) cambio al timone della testata: fuori Mario Orfeo, dentro un nome nuovo.

Il più quotato è quello di Giuseppe Carboni, che ha già diretto il Tg1. Per lui però il giorno più importante della settimana non è giovedì ma mercoledì, quando si celebrerà la prima udienza del procedimento giudiziario che ha intentato contro la Rai e contro il capo del personale, Felice Ventura. Dopo la fine della sua esperienza al Tg1 il direttore ha passato diverso tempo “in purgatorio”, prima di passare, a metà 2023, a dirigere RaiParlamento.

Quel periodo di vuoto, dal suo punto di vista, va letto come un demansionamento. Il Movimento potrebbe anche giocarsi la carta di Senio Bonini, vicedirettore del Tg1 arrivato insieme a Gian Marco Chiocci dopo un’esperienza al TgUnomattina, la striscia informativa voluta da Monica Maggioni. Prima ancora è stato chigista a Rainews. Proprio la rete diretta da Paolo Petrecca – che scade a fine novembre – sarebbe al secondo posto nella lista dei desiderata dei Cinque stelle. E la strada per conquistarla sarebbe decisamente più in discesa.

In aula

Ma prima della partita in Vigilanza c’è l’aula e l’elezione dei quattro consiglieri di nomina parlamentare. L’alleato d’eccezione di Giorgia Meloni, peraltro, non sembra aver dubbi su come agire in aula. Appare ormai sempre più carta straccia l’accordo agostano che vincolava le opposizioni a un impegno comune per imporre alla maggioranza un intervento sulla legge della governance prima di procedere alle nomine di viale Mazzini. Rischia così di finire tradita la fiducia che in molti, dalle parti del Nazareno, ripongono negli alleati del campo largo.

Il Pd continua invece a non volersi esporre su un eventuale candidato da indicare per il prossimo cda. Così è possibile che giovedì la segretaria Elly Schlein indichi la via dell’Aventino. Ma in un parlamento in cui i numeri della maggioranza sono fortissimi, la scelta rischia di rivelarsi un azzardo: se i settanta deputati e i 37 senatori dem dovessero infatti non esprimersi o uscire dall’aula, si complicherebbe di molto anche la strada di Roberto Natale, attualmente unico nome su cui c’è un appoggio esplicito da parte di Avs. Ogni camera elegge due consiglieri: la destra potrebbe infatti decidere di convogliare una parte dei suoi 119 voti al Senato e 238 alla Camera su un terzo candidato riconducibile al mondo di Meloni&co. Intanto il Movimento potrebbe serenamente riconfermare il consigliere uscente di Majo e qualcuno confida che i dem si accodino.

A destra stanno ancora valutando se portare a termine la forzatura, ma dalle parti del centrosinistra, una sola cosa è certa: il Pd si ritroverebbe con in mano i cocci del campo largo. Alla faccia della coalizione che nel 2027 dovrebbe mandare a casa Meloni.

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