Volendo essere pignoli il viaggio di andata e ritorno di Renata Polverini da Forza Italia non è tecnicamente un esercizio di voltagabbanesimo. Quando lo scorso gennaio la deputata aveva aderito al gruppo di Centro democratico-italiani in Europa votando la fiducia al morente governo Conte, lo aveva fatto, almeno ufficialmente, per evitare che il paese «tornasse alle urne». FI, all’epoca, le sembrava troppo filoleghista e lei, che della moderazione ha fatto la sua cifra fin da quando, presidente della regione Lazio, sedeva cavalcioni sulle barriere della curva nord dell’Olimpico circondata dai capi ultrà della Lazio (la squadra), non poteva accettarlo. Così aveva deciso di compiere il grande passo della responsabilità.

Poi le cose non erano andate benissimo per Giuseppe Conte. E già a febbraio Polverini aveva lasciato Centro democratico-italiani in Europa per diventare un’anonima particella nel grande cosmo del gruppo Misto. Ora torna a «casa» e commenta: «In realtà è come se non fossi mai andata via. Il mio partito, finalmente, ha adesso il ruolo che merita, a sostegno di un governo forte e di unità nazionale, guidato da una personalità di assoluto valore come Mario Draghi, e sta contribuendo attivamente a tirar fuori il paese dall’emergenza sanitaria ed economica. In questi mesi non ho mai interrotto i rapporti con la base di Forza Italia, con il gruppo parlamentare, e con la delegazione azzurra al governo. Continuerò a dare il mio contributo per il rilancio di un movimento che continuo a considerare l’unica area moderata e liberale della quale il paese ha bisogno».

Insomma tutto è dimenticato, tutto è perdonato. Festeggiano gli azzurri e decisiva, apprendiamo dal racconto di Polverini, è stata la telefonata di Silvio Berlusconi. Che dal suo letto di malattia si è speso perché FI potesse riabbracciare la sua figliola prodiga. All’epoca dell’addio i gossippari in servizio permanente ci avevano spiegato, tradendo il solito tic del sessismo a targhe alterne, che in realtà la decisione era frutto di ben altre valutazioni. Non è escluso che il tritacarne mediatico si rimetta in moto anche stavolta.

Resta però un dato. Il 21 gennaio, cioè esattamente quattro mesi fa, Polverini si “immolava” insieme ad altri, per garantire la sopravvivenza politica dell’avvocato del popolo e del circo casaliniano. Oggi i responsabili per Conte tornano a casa, forse un po’ delusi per non essere riusciti ad arrivare al governo, e l’ex premier osannato non riesce nemmeno a farsi incoronare leader del M5s. Tutto appare lontano, sbiadito. Come passa il tempo quando ci si diverte.

 

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