L’inchiesta di Domani sui rapporti economici tra i vertici dell’intelligence degli Emirati Arabi, il patron della Marco Polo Council Leonardo Bellodi e il suo consulente Alberto Manenti (numero uno dei nostri servizi segreti esterni fino al 2018) ha creato qualche malumore. Non solo nel comparto della nostra sicurezza nazionale e in qualche stanza di palazzo Chigi. Ma anche dentro Leonardo, la multinazionale delle armi controllata dal ministero dell’Economia e guidata dall’ad Alessandro Profumo.

Molti dirigenti interni, infatti, non sapevano che Manenti fosse diventato da tempo consulente della multinazionale, con un contratto da oltre 200mila euro (ma se gli obiettivi commerciali fossero raggiunti le success fee potrebbero arrivare a cifre milionarie) in scadenza il prossimo autunno. L’ex capo delle barbe finte, già pagato da fondi degli Emirati Arabi tramite società di Bellodi per consulenze varie e report sulle start-up, è stato assunto da Profumo per gestire le relazioni commerciali dell’azienda nell’area del medio oriente. In particolare nel Qatar, dove Leonardo ha in ballo – tra le altre – una commessa milionaria per il nuovo stadio dei mondiali del 2022 “Al Bayat”. Un business da centinaia di milioni che è in una fase critica, visto che i quatarini a causa di ritardi nella realizzazione dell’impianto non ha ancora saldato i costi dei lavori.

Più spie per tutti

Ora, il contratto di Manenti con Leonardo e la consulenza “emiratina” hanno infastidito coloro che sostengono che un ex capo dell’Aise non debba usare conoscenze e rapporti nati negli anni di servizio per fare affari privati. Ma anche quelli che vedono il rischio di favoritismi personali nella scelta dei consulenti, e una presenza eccessiva di ex uomini dei servizi nell'azienda.

L’attuale presidente Luciano Carta, delegato ai rapporti istituzionali e alla security, è stato in effetti il successore di Manenti in Aise (Carta, va ricordato, è arrivato in Leonardo quando il contratto “a progetto” a Manenti era già stato fatto). Enrico Savio, chief strategy and market intelligence officer, capo della sicurezza interna, è un ex poliziotto vicino a Gianni De Gennaro (presidente di Finmeccanica fino al 2020), e prima di arrivare a Piazza Monte Grappa era vicedirettore del Dipartimento informazioni per la sicurezza (Dis). «Con dirigenti interni così accreditati, come mai abbiamo bisogni anche di esterni?», si domanda qualcuno dal ministero del Tesoro, l’azionista di controllo, aggiungendo che sarebbero i servizi segreti attivi (oggi il Dis è guidato da una diplomatica esperta come Elisabetta Belloni) a dover tessere le reti diplomatiche utili agli interessi delle nostre imprese strategiche.

Per la cronaca Manenti, oltre alle collaborazioni con Leonardo e Bellodi, vanta anche altri incarichi: se era noto quello nel cda di Banco Bpm, in pochi sanno che è pure consigliere di amministrazione della fabbrica d’armi Beretta. Ultimamente l’ex capo dei servizi italiani ha investito qualche migliaia di euro in alcune start-up per la ricerca e lo sviluppo di propulsori aerospaziali, come la Microns srl (è socio di minoranza, la società è controllata e guidata da un ingegnere, Angelo Minotti) e la MIIEG, specializzata in generatori di energia elettrica: Manenti – si legge nell’opuscolo informativo – è «un ponte verso realtà italiane e internazionali interessate a finanziare il progetto tecnologico».

La scelta di Minniti

Al netto dei potenziali conflitti d’interesse smentiti seccamente dall’entourage degli interessati, è degno di nota come il contratto di Manenti in Leonardo abbia anticipato l’ingresso nel colosso di un suo amico, ed altro grande esperto di sicurezza nazionale. Parliamo di Marco Minniti, ex autorità delegata a Palazzo Chigi e ministro dell’Interno quando Manenti sedeva a Forte Braschi. Il democrat lo scorso febbraio ha annunciato, dalle pagine di Repubblica, la decisione di lasciare il Pd e il parlamento. Per entrare, appunto, in Leonardo. Come presidente di una nuova fondazione che Profumo ha voluto creare apposta per lui.

La neonata Med-or sta facendo in queste settimane i suoi primi passi, e si dovrà occupare di intelligence e geopolitica dei paesi che affacciano sul Mediterraneo e del Medio Oriente. Minniti, secondo quanto risulta a Domani, non lavorerà gratis: il suo stipendio è di circa 300 mila euro l’anno, assai più di quanto prendeva da semplice parlamentare. Una cifra, comunque, in linea con quella dei manager dell’azienda con responsabilità apicali.

Chi apprezza le capacità dell’ex ministro e l’enorme sistema relazionale di cui dispone in Italia e all’estero crede che l’appannaggio e i milioni che saranno investiti da Leonardo nel think-tank siano soldi assai ben spesi. Non sono ancora chiarissimi gli obiettivi, ma secondo la partecipata Med-or è «un ponte attraverso il quale far circolare idee programmi e progetti concreti», e servirà «a favorire il dialogo costruttivo tra paesi, culture e sistemi economici ed enfatizzare il ruolo dell’Italia a livello globale».

Parole praticamente identiche a quelle dello statuto un’altra fondazione di Leonardo, voluta sempre dall’attuale amministratore delegato nel 2018. Si chiama “Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine”. I suoi obiettivi? «Favorire il dialogo con la società civile, le comunità i territori, contribuire a far percepire Leonardo Spa quale pilastro nel sistema paese, promuovere iniziative sviluppando progetti». A presiedere l’associazione è stato chiamato un altro esponente autorevole del Partito democratico, Luciano Violante. Tanto che nel qualcuno potrebbe pensare che Profumo (che ha un rapporto stretto con Paolo Gentiloni, uno dei massimi sostenitori della nomina del banchiere a Leonardo) regali poltrone di peso per cementare i rapporti con un partito amico.

Mistero Marco Polo

La moltiplicazione dei think-tank pagati con soldi pubblici è fenomeno che pone qualche interrogativo. Anche perché i maligni sostengono che quella di Minniti (lo statuto dovrebbe essere approvato a breve, una sede ufficiale non esiste ancora, ma nel cda siedono personalità che vanno dallo scrittore Pietrangelo Buttafuoco all’esperto di geopolitica Germano Dottori) avrebbe avuto in animo di coinvolgere nella fondazione Leonardo Bellodi e il gruppo di esperti dell’associazione non profit Marco Polo Council. L’organismo finito nelle maglie dell’antiriciclaggio per via dei finanziamenti da 3,7 milioni di euro avuti da misteriose società anonime emiratine e da un fondo di Abu Dhabi, Chimera Investments, che controllato da un gruppo amministrato direttamente da Sheikh Tahnoon bin Zayed. Il capo della sicurezza nazionale del paese e di fatto “autorità delegata” ad Adu Dhabi. L’ipotesi era avvalorata dagli addetti ai lavori soprattutto a causa degli stretti rapporti tra Minniti e Manenti, maestro di Bellodi e suo consulente nella società MPC. E da chi credeva che – importando il know how del lobbista e del suo prestigioso collaboratore – si potesse “istituzionalizzare” il misterioso lavoro di intelligence parallela svolto in questi anni dalla Marco Polo.

Che la congettura sia vera o falsa, difficilmente potrà diventare realtà: dopo i dubbi preventivi di qualche autorevole referente di Mario Draghi e dopo l’inchiesta di Domani, il rischio di ripercussioni sugli equilibri interni di Leonardo sarebbero eccessivi, per non dire di quelli del comparto della nostra sicurezza nazionale. Lo stesso ex ministro dell'Interno non sembra più essere dell'avviso.

Vedremo ora se le indubbie capacità di Minniti serviranno davvero a Leonardo per migliorare le sue relazioni internazionali e, conseguentemente, la sua capacità di fare business: al momento la pressione finanziaria sul gruppo è stressata da un debito netto di 3,3 miliardi (2020) e da un flusso di cassa assottigliato (senza dimenticare il rinvio della quotazione della controllata Drs) e l’avvio di nuove attività e progetti servirebbero come il pane. In caso contrario, la nuova Med-or rischierà di apparire alla pubblica opinione come l’ennesima fondazione creata ad hoc solo per fare un favore al solito potente.

 

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