Un centro, nessun centro, centomila centri. Matteo Renzi da una parte, iper attivo più del solito e già in campo per le Europee, è pronto a pungere l’ex alleato Carlo Calenda, che intanto va campagna acquisti a Montecitorio e all’Europarlamento. Anche dall’altra riva del fiume centrista, tendenza destra abbondano le proposte che parlano allo stesso elettorato: Noi Moderati di Maurizio Lupi ha chiuso la porta in faccia a Forza Italia. Niente lista unica, a differenza di quanto si pensava, e ognuno va per sé. La fotografia dei veti incrociati.

Palla al centro

L’area moderata o liberaldemocratica, a seconda della definizione preferita, è così sempre più la riedizione della celebre opera pirandelliana. In vista delle prossime Europee c’è l'overbooking di partiti che vogliono farsi portatori delle istanze centriste e restano inconciliabili tra loro. Su tutti è salito in cattedra Renzi, che alla personale batteria mediatica, ha aggiunto un altro pezzo: un nuovo – o meglio l’ennesimo – libro in cui condensa il suo pensiero e illustra il futuro politico, tra una ricostruzione e una previsione. Il titolo è un tipico calembour di impronta renziana, Palla al Centro, con l’immancabile riferimento al calcio, imperitura passione nazionalpopolare dell’ex presidente del Consiglio. L’obiettivo non è dichiarato, ma palese: sfruttare la nuova fatica letteraria per fare campagna elettorale, con le presentazioni che diventano comizi su misura. Certo, il compito è improbo: oggi l’unico compagno di percorso è il sindaco di Benevento, Clemente Mastella, che in dote può portare un centinaio di migliaio di voti dai suoi feudi elettorali, nel Sannio. Ma è poca cosa.

Gli altri nel giro liberaldemocratico non si fidano di Italia viva. Per questo Renzi ha iniziato a girare come una trottola: sa che deve metterci la faccia. Fare un po’ di opposizione dura contro il governo Meloni, diventando il paladino degli attacchi al sottosegretario della Giustizia, Andrea Delmastro, in riferimento agli spari di Capodanno a Rosazza. Salvo poi tendere la mano alla leader di Fratelli d’Italia, dando disponibilità a votare per la riforma del premierato. Renzi fa il Renzi, insomma. Con le residue – o meglio poche – speranze di prendersi la guida moderata. 

E se il leader di Italia viva sale sugli scudi, l’altro dioscuro del (fu) Terzo Polo, Carlo Calenda, non può essere da meno. Alla Camera ha portato a casa il bottino di due ex renziani convertiti sulla strada di Azione: l’ex ministra Elena Bonetti e l’ex presidente di Italia viva, Ettore Rosato. La campagna di rafforzamento è continuato, strappando al Movimento 5 stelle la deputata Federica Onori, preziosa per rimpinguare il gruppo a Montecitorio. Fuori dai confini nazionali c’è stato l’approdo alla corte azionista dell’eurodeputato (ex grillino), Fabio Massimo Castaldo.

In ottica strategica, Azione ha avviato il dialogo per una lista comune +Europa, tra i soggetti più corteggiati del reame centrista: il partito di Emma Bonino vanta quel 2/3 per cento di consensi fondamentale per centrare il 4 per cento, necessario a far scattare i seggi alle Europee. Solo che Bonino non vuol sentir parlare di Calenda, reo di averle fatto perdere il seggio al Senato nel collegio uninominale di Roma. Mentre su Renzi c’è un generale scetticismo di +Europa, sebbene c’è chi sta perorando la causa di una resurrezione terzopolista con tutti insieme. Opzione, a sua volta, scartata a priori da Calenda: il nome Renzi gli provoca l'orticaria. Così si torna daccapo, con vari centrini.

C’è di mezzo pure Sud chiama Nord del sindaco di Taormina, Cateno De Luca, moderato nelle intenzioni ma non certo nel temperamento. Intanto ha affidato le chiavi alla presidente del partito, l’ex sottosegretaria grillina al Mef, Laura Castelli. Alla fine l'ipotesi è di andare da solo per pesarsi sul territorio nazionale.

Cedimento a destra

E nel centro che guarda a destra il fermento – e la proliferazione di progetti – non è da meno. Il big player, almeno sulla carta, è Forza Italia. Il segretario Antonio Tajani aspetta la benedizione del congresso da candidato già scelto per lanciare l’assalto. Solo che gli astri non si stanno allineando come sperava L’ex ministro Lupi ha detto che alle elezioni di giugno vuole andare da solo: Noi Moderati vuole scrollarsi di dosso l’etichetta di cartello elettorale e misurarsi come partito a tutti gli effetti. Così ha stipulato un patto con la rediviva Italia dei Valori, il soggetto di Antonio Di Pietro oggi guidato da Ignazio Messina. La sfida del 4 per cento è al limite dell’impossibile. Ma l’operazione porterà a Lupi l’implicita gratitudine di Giorgia Meloni: il mancato rafforzamento elettorale di FI (a cui Noi Moderati avrebbe potuto portare un po’ di numeri elettorali) vale la riconoscenza dei vertici di Fratelli d’Italia, sempre più perno della coalizione.
Altri centristi, però, hanno preso a veleggiare presso altri lidi, come nel caso dell’Udc di Lorenzo Cesa sta lavorando a un’intesa con la Lega che sarebbe utile a entrambi. A Matteo Salvini per darsi un’immagine di moderatismo, almeno nelle alleanze, e ai centristi per avere una zattera utile a piazzare dei candidati con la possibilità di guadagnarsi un seggio nell’Europarlamento: i leghisti non hanno certo timori di non superare la soglia di sbarramento. Ma è lapalissiano il cortocircuito innescato con gli eredi dello scudo crociato a braccetto con chi in Ue è alleato dell’estrema destra tedesca.
La fotografia dei mille centri pirandelliano è lo spettacolo intorno alle ceneri della Democrazia cristiana. L’ex presidente della regione Sicilia, Totò Cuffaro, rivendica l’uso del simbolo storico del partito che fu di De Gasperi, mentre Gianfranco Rotondi sostiene che può usarlo senza problemi. La vicenda è finita addirittura in tribunale. Nonostante si parli di forze politiche che nemmeno sono rilevate nei sondaggi. 

© Riproduzione riservata