La camera vota la sospensiva della proposta di legge sul salario minimo, con 168 sì 128 no e tre astenuti; la maggioranza rimanda a fine anno una questione spinosa; le opposizioni combattono, ma perdono ai punti. Questi sono i tre fatti della mattinata di giovedì. In realtà però il senso della storia è il contrario: giovedì a Montecitorio la maggioranza fatica a parare i colpi delle opposizioni, che menano unite e per la prima volta dettano l’agenda, costringono gli avversari a pattinare su un terreno minato; alla fine portano a casa l’evidente imbarazzo di maggioranza e governo.

E offrono una rara prova di maturità: l’idea, se non la sua certificazione, che uno straccio di campo progressista c’è, che Pd M5s rossoverdi Azione e +Europa possono lavorare insieme; dallo schieramento resta fuori Italia viva, ma ormai è ufficiale che Matteo Renzi gioca da incursore nel campo della maggioranza.

Lupi ma moderati

Il voto di giovedì arriva dopo mesi di battaglia in commissione lavoro su un testo unitario, una proposta che fissa il salario minimo a 9 euro lordi. Argomento insidioso a destra, e sempre di più via via che i sondaggi hanno segnalato la sensibilità al tema anche nell’elettorato di Giorgia Meloni.

In commissione la maggioranza si è dovuta rimangiare l’emendamento soppressivo del testo per virare, in aula, verso una più soft «sospensiva», ovvero un voto che non cestina il testo ma ne rimanda l’esame a capriccio della maggioranza: cioè quando la destra avrà uno straccio di idea per rafforzare i salari che non sia, appunto, la fissazione di un limite minimo legale.

Per le opposizioni è un’assicurazione di campagna per i mesi a venire. La maggioranza tacita le voci più estremiste e in aula fa parlare il moderato Maurizio Lupi che si esibisce in un elogio della contrattazione collettiva, curioso inedito per il suo schieramento; e anche l’elogio del dialogo con gli avversarsi, altra curiosità per chi è partito dalla cancellazione della legge: comunque ammette che il tema dei salari bassi non è un’invenzione delle minoranze, ma «strumentalizzare questi temi non serve a nessuno, e per questo mettiamo al voto una sospensiva, non sine die ovviamente e senza pregiudizi, per non interrompere il dialogo con un voto che impedirebbe anche alla maggioranza di trovare una soluzione».

Dall’altra parte parlano i leader dei partiti, ciascuno con il proprio accento, che per una volta non è una cacofonia, o quasi: «Avete scelto di scappare, ma non dalle opposizioni che sono minoranza e non vi fanno paura. Avete scelto la fuga dalla realtà», attacca il rossoverde Nicola Fratoianni.

Testimone raccolto dalla segretaria Pd Elly Schlein: «Siamo davanti alla fuga della maggioranza davanti a un problema reale. Siamo aperti al dialogo. Non ai rinvii sine die. La povertà non va in vacanza, ma la maggioranza della sofferenza della gente se ne frega».

No alle «meline» anche da Giuseppe Conte a nome del M5s. L’ex premier rifa l’elenco delle obiezioni fantasiose opposte alla legge: «Per Tajani è una misura sovietica, eppure il ministro degli Esteri dovrebbe conoscere la geografia europea e sapere che 21 paesi su 27 hanno adottato questa misura. Siamo poi rimasti sconcertati dal ministro Musumeci che ha parlato di misura assistenzialista. Rimane un mistero glorioso il vero pensiero della premier Meloni: prima il salario minimo era uno specchietto per le allodole, poi uno slogan».

Uno vale più uno

Qui va aperta una parentesi. Il leader postgrillino sente la competizione con la collega democratica, e nel suo discorso spinge su qualche tono populista, insiste nel combinato disastroso del no al salario minimo con la cancellazione del reddito di cittadinanza – il giorno prima la ministra del lavoro Calderone ha risposto alle interrogazioni dell’opposizione a Montecitorio, dopo qualche ora risponde a Palazzo Madama – fino a concedersi un’allusione velenosetta all’episodio che il giorno prima, durante il voto sul bilancio interno della camera, ha messo in imbarazzo Schlein: Piero Fassino, in dissenso dal partito, ha votato no a un ordine del giorno di Fdi e M5s sullo stop ai vitalizi per i parlamentari; e lo ha fatto sventolando in aula il cedolino del suo stipendio, un po’ più di quattromila euro, che «non è uno stipendio d’oro»; ma si è “dimenticato” di dire che un parlamentare percepisce anche la diaria e il rimborso spese. La segretaria a stretto giro si è dissociata.

Conte dunque cerca di scavalcare Schlein a sinistra. Ma stavolta almeno sono dettagli percepibili solo a orecchie allenate. Del resto l’ex premier soffre a stare in squadra. Se vuole primeggiare, ora ha una modo virtuoso di farlo: superando gli alleati nella raccolta di firme. Giovedì l’hanno annunciata in sequenza Schlein, Fratoianni con Angelo Bonelli e Conte. Sarà la prossima mossa unitaria. Il testo ancora non c’è, ma servirà a tenere vivo il tema nei prossimi mesi.

Al netto di queste sfumature, ieri in aula gli interventi dell’opposizione si concentrano sulle contraddizioni della maggioranza. Matteo Richetti, Azione: «La vostra richiesta di rinviare l’analisi della proposta sul salario minimo, la proponete non a noi ma a quel 20 per cento di lavoratori più fragili, alle famiglie che subiscono un’inflazione reale pari al 20 per cento, ai ragazzi che firmeranno contratti per 5-6 euro l’ora». Riccardo Magi, +Europa: «Governo e maggioranza non sanno cosa pensano del salario minimo e non sanno cosa fare. La sospensiva è diventato l’atto preferito da questo esecutivo. Lo abbiamo visto sul Mes: il governo arriva in ritardo, non sa cosa fare e decide di non decidere. Non ricordo governi che non sappiano cosa pensare».

La maggioranza compra tempo. Giorgia Meloni ha promesso a Carlo Calenda la convocazione di un tavolo prima delle vacanze estive, ma le vacanze iniziano la prossima settimana e la premier non si è fatta sentire. Compra tempo anche lei. «La maggioranza non ha detto la verità oggi in aula», secondo Arturo Scotto (Pd), «La sospensiva che porta il salario minimo formalmente al 29 settembre in realtà è un rinvio a gennaio. A dopo la sessione di bilancio. Perché come è noto a tutti durante quel periodo non è possibile votare leggi di spesa. La destra sta imbrogliando gli italiani».

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