Una certa cautela sulla nascita del Terzo Polo è nei fatti, o per meglio dire nelle casse dei partiti che dovrebbero fondarlo. Così, prima di capire come andrà a finire la telenovela terzopolista in tanti preferiscono tenere i soldi in tasca, perché, in caso di reale fusione, dovrebbero poi essere messi “in comune”. E senza garanzie meglio non correre il rischio.

Ai buoni propositi delle dichiarazioni, almeno fino alle frizioni degli ultimi giorni, non corrisponde insomma un’apertura del portafogli da parte degli eletti, né tantomeno accorrono frotte di sostenitori esterni per alimentare la fondazione del nuovo soggetto.

Dalle elezioni politiche, infatti, gli eletti di Azione e Italia viva versano meno rispetto al passato. Il caso del partito di Matteo Renzi è palese. Già alla prese con un minor numero di deputati e senatori rispetto all’ultima legislatura, i pochi rientrati si dimostrano parsimoniosi. A gennaio appena 4 parlamentari, Francesco Bonifazi, Silvia Fregolent, Roberto Giachetti e Maria Chiara Gadda, hanno provveduto a restituire la somma pattuita di 500 euro. Un po’ meglio è andata a febbraio, quando all’elenco di deputati e senatori che hanno versato si sono sommati Mauro Del Barba e la capogruppo al Senato, Raffaella Paita.

Gli altri parlamentari – tra cui Renzi e Maria Elena Boschi giusto per fare dei nomi di peso – per ora restano alla finestra. Del resto nulla vieta di recuperare i versamenti arretrati con un bonifico unico al momento che sarà considerato opportuno.

Assenze pesanti

Peraltro, nemmeno tra i grandi sostenitori economici (le donazioni previste dalla legge) del partito di Renzi si è scatenato un particolare entusiasmo, tranne per il solito Gianfranco Librandi, imprenditore ed ex deputato di Italia viva, che nel mese di febbraio ha destinato in totale 50mila euro: la metà a proprio nome e l’altra attraverso la società che fa riferimento a lui, la Tci telecomunicazioni Italia.

Per il resto, i big dell’imprenditoria e del mondo della finanza, a cominciare dal finanziere Davide Serra, non figurano nell’elenco. Un segnale che le realtà produttive non guardano con interesse al progetto. Anche le micro-donazioni, quelle sotto i 500 euro, non hanno fatto registrare impennate, anzi ci sono molti alti e bassi e nel primo bimestre 2023 si registrano gli stessi livelli di inizio 2022.

Lo stesso discorso vale per Azione di Carlo Calenda: Librandi ha fatto pervenire 50mila euro con le stesse modalità di Italia viva. Poi i parlamentari Naike Gruppioni e Fabrizio Benzoni hanno provveduto a dare, in media, mille euro al mese al partito, mentre la deputata Giulia Pastorella si è auto-tassata di 12mila euro in un’unica soluzione.

Si nota l’assenza di Mariastella Gelmini che, da quando è stata eletta in parlamento con il partito dell’ex ministro non ha mai versato: risulta una sola donazione, ad agosto in campagna elettorale, da mille euro. Certo, come per gli altri casi può recuperare in un solo colpo, ma è evidente la differenza rispetto a quando militava in Forza Italia: era una delle più assidue donatrici degli azzurri. La diretta interessata riferisce di aver puntualmente versato, ed è un problema di registrazione. Infatti non risulta alcuna donazione dalla doppia verifica sui registri in parlamento e nell'apposita sezione del sul sito del partito.

A una prima osservazione, insomma, in questo inizio 2023 il Terzo Polo non ha scaldato i cuori e ha le casse semivuote. Un chiaro segnale che a prevalere, al momento, è l’attesa di capire cosa succederà.

Bilanci e gruppi

Il principio è quello del follow the money, che resta decisivo. L’ultimo due per mille ha dato un milione e 200mila euro ad Azione e 973mila euro a Italia viva. Ma è solo un pezzo del totale. In attesa del bilancio del 2022, si possono analizzare i rendiconti degli anni precedenti.

Il partito di Calenda, nel 2021, ha incassato (tra 2 per mille, donazioni e introiti vari) oltre 2 milioni e 100mila di euro, nel 2020, aveva raggiunto un milione e 705mila euro. Il soggetto fondato da Renzi ha ricevuto proventi per un milione e 746mila euro nel 2021, e un milione e 863mila euro nell’anno precedente. Sono cifre che garantiscono il funzionamento del partito e che nessuno vuole mettere in comune. Soprattutto senza avere garanzie sulle strutture e sugli organigrammi dell’ipotetico partito unitario. A meno che non ci sia una convenienza.
Qui si apre un’altra riflessione: bisogna tenere in piedi i gruppi di Camera e Senato che garantiscono risorse economiche fondamentali. Ogni eletto frutta intorno ai 65/70mila euro all’anno, se è all’interno di un gruppo parlamentare: una somma che si dimezza in caso di diaspora e adesione al Misto. Sarebbe un disastro.

© Riproduzione riservata