Poche idee e sempre le solite. «Famiglie, imprese, giovani e natalità», recita la nota congiunta del centrodestra, prevedibilmente vaga. Il primo giro è finito, ma per Giancarlo Giorgetti il Gran premio della manovra economica si annuncia lungo. Il ministro dell’Economia ha incontrato ieri i leader dei partiti di maggioranza, Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi, per ricordare le criticità dei conti e raccogliere gli input per la prossima legge di Bilancio.

Giorgetti è conscio di essere alla guida di un paese che non può permettersi accelerazioni improvvise: non c’è spazio per spese “fuori sacco”. Per questo nel vertice a palazzo Chigi ha messo in chiaro una cosa: non vuol sentir parlare di «tesoretto». È preoccupato che il mood comunicativo possa favorire un rilassamento sulla parsimonia.

L’incremento del gettito fiscale è in linea con le previsioni. «Niente illusioni sulle possibilità di spesa», è la sintesi del ragionamento proposto da via XX Settembre. Una nota congiunta ha sostanzialmente confermato la natura interlocutoria del summit. Nel testo si parla di «una politica di bilancio seria ed equilibrata» e appunto con «famiglie, imprese, giovani e natalità» come priorità.

Allo stesso tempo viene rilanciata l’idea di porre «definitivamente la parola fine alla stagione dei bonus che hanno dimostrato non produrre alcun risultato». Ironia della sorte, la posizione è stata espressa mentre è diventata esecutiva la card “Dedicata a te”, bonus una tantum rinnovato dopo l’esperimento dello scorso anno.

Sogni e slittamenti

La wishlist dei ministeri è lunga. Si parte dalla salute: Orazio Schillaci vuole qualche miliardo di euro da mettere sul piatto della sanità, pena l’abbassamento della qualità del servizio. Il pericolo è che possa drenare una buona parte delle risorse a disposizione, visto che oltre 10 miliardi di euro servono per il rifinanziamento del taglio al cuneo fiscale.

Di sicuro sono stati confermati gli slittamenti sul calendario della manovra. Entro il 20 settembre non sarà completato l’iter del Piano strutturale di bilancio di medio termine, il documento da inviare a Bruxelles per decidere la roadmap economica per i prossimi anni.

Il testo dovrebbe arrivare nel Consiglio dei ministri nella seconda metà del mese, probabilmente martedì 17 settembre. Inizialmente doveva essere licenziato prima del 10. Dopo il via libera di palazzo Chigi, comunque, il piano verrà spedito in parlamento per consentire un esame ed eventuali rilievi, relegando sullo sfondo il ruolo delle camere e lasciando che la partita, per quanto delicata, resti nella cerchia dell’esecutivo. Non proprio una novità con Meloni al potere.

Dal Pd è arrivato un appello per un approccio diverso. «Riteniamo sbagliato che il Piano strutturale di bilancio non venga discusso in parlamento prima di essere presentato in Consiglio dei ministri. Siamo pronti, come ha detto ieri Elly Schlein, a offrire il nostro contributo di proposte», ha evidenziato Alessandro Alfieri, senatore dem. Difficile che l’invito venga raccolto. Il percorso, secondo l’orientamento del governo, dovrebbe esaurirsi entro la fine di settembre.

La dilazione temporale sulla tabella di marcia è di almeno una decina di giorni rispetto al 20 settembre. Dal Mef, però, respingono la tesi di un ritardo legato alle difficoltà: «Altrove in Europa sono messi peggio». Solo che i casi sono diversi. Per esempio in Francia ancora non c’è un governo nella pienezza delle proprie funzioni.

Bandiere in manovra

Altro punto fisso è che non sarà ripetuta la strategia dello scorso anno sullo stop agli emendamenti dei parlamentari di maggioranza alla legge di Bilancio. La situazione resta comunque complicata. «La manovra non sarà di lacrime e sangue», ha provato a rassicurare il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, puntualizzando che non ci sarà «sperpero di denaro pubblico».

Affermazioni interlocutorie nell’attesa di capire su cosa bisognerà puntare e cosa concedere ai singoli leader. I berlusconiani hanno individuato la loro bandiera da piazzare sulla manovra: un aumento delle pensioni minime, bruciando sul tempo la propaganda di Meloni. Nelle prossime ore metteranno nero su bianco le loro idee in un incontro con Giorgetti. Fratelli d’Italia è favorevole alla misura, ma lo spin comunicativo dei forzisti è partito in largo anticipo. Diventerà anche difficile dire di no a un ritocco delle pensioni più povere.

D’altra parte, il ministro dell’Economia deve dialogare con un interlocutore che conosce bene, il leader del suo partito, Salvini. L’obiettivo sarebbe quello di avviare il progressivo superamento della riforma previdenziale firmata da Fornero. Giorgetti ha già eretto un muro. Si possono muovere le leve della flessibilità per garantire una pensione più facile per determinate categorie di lavoratori. Niente di più.

Il segretario della Lega si sta ricalibrando su un altro versante, l’aumento della soglia da 85mila a 100mila euro per beneficiare della flat tax destinata agli autonomi. L’impatto sarebbe gestibile per i conti, e Salvini avrebbe la bandierina da sventolare.

Al tavolo della legge di Bilancio siede pure Lupi, leader di Noi moderati e quarto pezzo dell’alleanza di centrodestra, che si batte per maggiori risorse da mettere sulla natalità. Resta da capire in quale modo declinare il tema. Il grande dilemma resta, però, il sostegno al ceto medio con lo “sconto Irpef” per i redditi compresi tra 35mila e 50mila euro. È un pallino del viceministro, Maurizio Leo, fedelissimo di Meloni. Si sta valutando il costo dell’intervento, sconsigliandone l’adozione.

Solo che da Fratelli d’Italia già si sono esposti troppo, toccherà fare qualcosa in quella direzione sebbene al Mef abbiano lasciato intendere che non c’è margine. L’esito potrebbe essere un pannicello caldo.

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