Dalla disperazione alla gioia. Sono i sentimenti che hanno accompagnato Patrick Zaki in queste burrascose 48 ore che hanno visto il giovane neolaureato all’università di Bologna tornare dietro le sbarre, dopo 19 mesi di libertà, e poi ricevere la grazia del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi. È tutto finito.

Via le accuse di diffusione di notizie false, via le prove fittizie: prima i dieci post di Facebook, poi l’articolo sulla condizione dei cristiani copti su cui si è basata la condanna a tre anni di carcere. Patrick ora è un uomo libero.

Lo ha deciso il presidente al Sisi con un decreto in occasione della festività dell’egira di Maometto – che segna l’inizio del calendario islamico – e dell’anniversario della Rivoluzione degli Ufficiali Liberi del 1952 che cade fra tre giorni. Per far sì che Zaki fosse nella lista delle persone degne del perdono della presidenza bisogna guardare anche a Roma.

A quelle frasi pronunciate da Giorgia Meloni nelle ore successive alla sentenza: «Il nostro impegno per una soluzione positiva del caso di Patrick Zaki non è mai cessato, continua, abbiamo ancora fiducia». Una frase di rito, si pensa all’inizio, ma qualcosa nei rapporti tra Il Cairo e Roma si muove. Quello che accade dopo è un susseguirsi di eventi frenetici che termina con un colpo di scena.

Le ore dopo la condanna

In Egitto i membri del Comitato per il dialogo presidenziale, tra cui l’ex portavoce di Mohammed al Baradei – storico oppositore di Mubarak – si dimettono. La condanna di Zaki è la goccia che fa traboccare il vaso. Il dialogo politico che il presidente sta tenendo in piedi da mesi è solo di facciata, dicono.

Diaa Rashwan, coordinatore dell’iniziativa, prova a porre rimedio e chiede la grazia come segno di serietà da parte del presidente al Sisi. E Mohammed Abdel Aziz, membro del comitato per la grazia presidenziale, dice «che ha ricevuto rassicurazioni» a riguardo. Gli avvocati tentano la strada della scarcerazione immediata in attesa della ratifica della sentenza. E Patrick non viene assegnato a nessun penitenziario, resta alla direzione della sicurezza di Mansoura. E ci passa la notte tra martedì e mercoledì.

Intanto, fonti vicine alla diplomazia italiana fanno sapere che l’Italia ha avviato dei contatti e che avrebbe dato la disponibilità a far scontare a Zaki i restanti 14 mesi di carcere in Italia.

La proposta suona anomala: i due paesi non hanno alcun accordo di cooperazione giudiziaria e soprattutto Patrick è stato condannato per un reato di opinione, una condizione in netto contrasto con la nostra Costituzione. Ma la notizia circola, il messaggio indiretto è che l’Italia non è ferma. Infine, nel tardo pomeriggio di ieri arriva l’annuncio: il presidente ha graziato Patrick.

Insieme a lui c’è anche Mohammed Baqir, avvocato di Alaa Abdel Fattah, una della icone della rivoluzione egiziana. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, si intesta il risultato: «Il governo ha dato un contributo decisivo per la liberazione», dice all’Ansa, mentre Giorgia Meloni in un videomessaggio annuncia che già oggi Zaki sarà in Italia: «Gli auguro dal profondo del cuore una vita di serenità e di successi».

Nei tre mandati di governo che hanno accompagnato la vicenda di Zaki, le trattative diplomatiche (e della nostra intelligence) tra Roma e Il Cairo ci sono sempre state. Quelle dell’allora ministro Luigi Di Maio, per esempio, erano «a fari spenti», ma c’erano. E l’approccio, anche questa volta, è stato quello di sempre: dialogo soft senza strappi diplomatici e interruzioni dei ricchi scambi commerciali, armi comprese. La domanda su cosa questa volta le abbia rese più efficaci, dopo numerosi fallimenti, resta.

C’è chi parla di un’ottima intesa tra il nuovo esecutivo Meloni e al Sisi, che si era già sviluppata lo scorso novembre nell’incontro alla Cop27 di Sharm el-Sheik. A pesare potrebbe essere anche il ruolo del nuovo ambasciatore egiziano a Roma. Bassam Rady si è insediato lo scorso febbraio e ha lavorato come portavoce di al Sisi. Poteva sembrare inizialmente un atto quasi ostile, visti i casi dell’omicidio di Giulio Regeni e quello di Zaki ancora aperti, ma la sua vicinanza con la presidenza egiziana potrebbe aver agevolato le trattative.

C’è poi un altro fattore che esula dal successo delle trattative diplomatiche: è la schizofrenia con cui opera il regime egiziano. Un elemento da non sottovalutare anche in vista dei prossimi tavoli diplomatici che l’esecutivo italiano dovrà affrontare nel breve periodo.

In agenda c’è la conferenza sui migranti a Roma di domenica prossima e l’omicidio di Regeni: l’Egitto, ormai da anni, sta impedendo il processo dei quattro agenti della National Security da parte della giustizia italiana. Un nodo, anche questo, che il governo Meloni non potrà ignorare a lungo. Possibile che la contropartita per Zaki sia proprio la chiusura del caso Regeni?

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