Il cardinale Matteo Zuppi sta giocando la carta dell’equidistanza: dialogo con tutti, dal governo all’opposizione, secondo una strategia fatta di rilievi critici mai troppo accesi accompagnati sempre da una disponibilità a collaborare.

Dunque, nessun attacco frontale all’esecutivo, nemmeno sui temi sociali più sensibili: dall’immigrazione alle politiche per contrastare la povertà e la disoccupazione, o per sostenere le famiglie, quanto piuttosto qualche richiamo deciso a modificare qua e là la natura di alcuni provvedimenti.

Il presidente della Cei ha tenuto solo un punto con fermezza anche se è di quelli che contano: la difesa della Costituzione e dei suoi valori.

D’altro canto, sull’autonomia differenziata, per esempio, cavallo di battaglia della Lega, i vescovi hanno espresso a più riprese la propria preoccupazione per un Paese che si dividerebbe in modo definitivo fra aree per cittadini di serie A e regioni figlie di un dio minore, con tanti saluti ad ogni principio di solidarietà.

La crescita di Sant’Egidio

Tuttavia, il quasi basso profilo di Zuppi, non deve stupire più di tanto. Rappresenta infatti il ritorno sulla scena pubblica di una Cei in grado di parlare con il governo, qualunque esso sia, che prova a tutelare gli interessi della Chiesa senza che questa scelta desti per forza scandalo.

E poi c’è la provenienza dalla Comunità di Sant’Egidio, tradizionalmente definita “l’Onu di Trastevere” per la forte proiezione internazionale e la capacità di parlare con ogni tipologia di interlocutore. Un metodo che in realtà ha permesso all’organizzazione fondata da Andrea Riccardi, di aprirsi la strada dei più vari rapporti istituzionali anche in Italia, preferibilmente nell’area del centrosinistra ma, evidentemente, non solo, senza mai rinunciare, per altro, alla propria vocazione sociale umanitaria.

Non è un mistero, d’altro canto, che sotto il pontificato d Francesco, il gruppo di Sant’Egidio sia cresciuto d’importanza e di peso nella geografia ecclesiale, mentre per altri è stata la stagione della ritirata e dei ripensamenti. Se questo è il quadro d’insieme, non c’ è da stupirsi che la Cei abbia sostanzialmente delegato alla Caritas le critiche puntuali e dettagliate alla riforma del reddito di cittadinanza rese note dal governo e che, fino ad oggi, abbia detto poco o nulla sul vuoto delle politiche governative in favore del rilancio della natalità, a parte naturalmente i numerosi e creativi annunci di diversi ministri.

Infine, Zuppi ha cominciato a disegnare il suo organigramma, si veda il caso della sostituzione del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, alla guida del quotidiano della Cei per 14 anni, sostituito da Marco Girardo, formatosi nell’Azione cattolica, già caporedattore economico del giornale. Pe Tarquinio, secondo alcuni, sarebbe pronto un seggio all’Europarlamento con i Cinquestelle fra un anno, ma è presto per definire il futuro dell’ex direttore.

Il giubileo che unisce tutti

In questo contesto, c’è da considerare, fra le altre cose, che governo e opposizione, hanno almeno un grande obiettivo comune cui sono costretti dai fatti che ha un suo punto di caduta proprio in Vaticano: ovvero l’organizzazione del Giubileo del 2025.

Il governo guidato da Giorgia Meloni e la giunta capitolina del sindaco Roberto Gualtieri, Pd, sono infatti già al lavoro, sotto la regia del sottosegretario Alfredo Mantovano di Fratelli d’Italia, per aprire a Roma una miriade di cantieri entro il prossimo mese di luglio (circa 4 miliardi gli investimenti complessivi previsti) e per chiuderli entra la fine del 2024, giusto in tempo per ospitare i circa 40 milioni di pellegrini e turisti previsti che si abbatteranno sulla Capitale l’anno dopo.

E per la Chiesa, le cui messe si sono ulteriormente svuotate con la pandemia, senza contare il calo delle offerte e delle entrate, si tratta – come sempre è avvenuto in passato – di un’occasione d’oro per recuperare visibilità e consenso. Tornano dunque i grandi eventi con un calendario giubilare, diffuso dal Vaticano, che si annuncia già fittissimo: nel febbraio 2025 si terrà il giubileo delle forze armate, di polizia e di sicurezza; seguirà il giubileo degli artisti e quello dei diaconi permanenti.

A marzo sarà la volta del mondo del volontariato il 28 si svolgeranno le “24 ore per il Signore”, il 29 e 30 marzo quello dei missionari della misericordia. Ad aprile avremo il giubileo degli ammalati e del mondo della sanità; quindi confluiranno a Roma i cresimandi e quanti compiono la “professio fidei”; poi le persone con disabilità. 

All’inizio di maggio, naturalmente, avremo per 4 giorni il giubileo dei lavoratori e subito dopo, ecumenicamente, quello degli Imprenditori; arriveranno poi le bande musicali, le confraternite, quanti celebrano la prima comunione e a giugno ci sarà il grande raduno delle famiglie. E questo è solo un assaggio.

Va detto che il vero precedente, il Grande Giubileo del 2000, a parte qualche cattedrale nel deserto, riuscì bene nel suo insieme, ma non c’era ancora stato l’attentato delle Torri gemelle né la terribile battaglia del G8 di Genova, la bella époque della globalizzazione, insomma, era al suo culmine.

La Cei in crisi

Per la Cei sarà quello il momento per recuperare una centralità anche organizzativa dopo un pontificato che ha visto svilupparsi un freddo crescente fra la Santa Sede e i vescovi della penisola, per molte ragioni in effetti non è mai nato un buon rapporto fra papa Francesco e l’episcopato del Belpaese.

Zuppi, inoltre, sempre in materia economica, dovrà fare i conti con una coperta che comincia a essere sempre più stretta. La stessa Cei, infatti, prevedeva qualche tempo fa che le risorse provenienti dall’otto per mille sarebbero calate di 300 milioni fra 2021 e 2024, e l’andamento attuale sembra confermare questa tendenza.

Il che comporta per molte diocesi stringere la cinghia, razionalizzare le spese, gestire al meglio il patrimonio immobiliare e ridurre l’esposizione con le banche. Per altro, sempre secondo statistiche della Cei, alcuni picchi negativi nelle firme in favore della chiesa per l ‘otto per mille, si sono avuti in concomitanza con l’esplosione di vari scandali: i due “vatileaks” e poi lo scandalo pedofilia intorno al 2010, ma il calo maggiore si è registrato in concomitanza con il caso di Piergiorgio Welby (cui il card. Ruini negò i funerali in Chiesa).

Chissà se, visti questi i precedenti, la Cei si sia orientata a una politica di trasparenza sugli abusi sessuali che guarda soprattutto al futuro cercando di non scoperchiare più di tanto quanto avvenuto in passato.  

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