- I rapporti tra Canberra e Washington da anni hanno traccheggiato in un misto di indifferenza e reciproca diffidenza. Un’alleanza forse data troppo per scontata da entrambi che nel tempo si era affievolita e diventata anemica: ora è arrivata la svolta e il rilancio.
- In sintesi la nascita della nuova alleanza militare fra Australia, Regno Unito e Stati Uniti nel Pacifico prevede di fornire a Camberra una flotta di sottomarini a propulsione nucleare (non di armi atomiche, sia ben chiaro).
- Che la guerra fredda con Pechino stia diventando sempre più il tema prioritario dell’amministrazione Biden lo si è evinto dalla determinazione con cui la Casa Bianca si è schierata a favore di Milley,il generale accusato da Trump di “alto tradimento” dopo le rivelazioni raccolte da Woodward e Costa nel libro “Peril”.
Non capitava da molto tempo che Washington tornasse a occuparsi di Australia, ovvero di Down under, (letteralmente «giù sotto»), secondo il termine colloquiale anglosassone con cui è conosciuta. Così, non ricordando il nome del primo ministro australiano, Joe Biden ha usato proprio quella perifrasi per trarsi d’impaccio da politico consumato qual è: «Grazie Boris, e voglio anche ringraziare il tizio lì sotto (“down under”, appunto ndr), tante grazie amico, l’ho apprezzato, primo ministro".
Così il presidente americano ha salutato i colleghi britannici e australiani durante l’annuncio, in collegamento a distanza con Londra e Canberra, della nuova alleanza militare a tre denominata “Aukus”, acronimo senza fantasia derivante dalle iniziali di Australia, United Kingdom e United States.
Ovviamente i giornali australiani non hanno apprezzato che il presidente americano avesse dimenticato il nome del loro premier, Scott Morrison, e avesse dovuto usare un giro di parole per indicarlo. Anche le successive spiegazioni della Casa Bianca che hanno fatto notare che nel corso della conferenza stampa, Biden poi ha nominato Morrison per nome, non sono sembrate sufficienti a rassicurare i media australiani. Biden anche nel ritiro dall’Afghanistan aveva telefonato con ritardo al premier australiano. In effetti i rapporti tra Canberra e Washington da anni hanno traccheggiato in un misto di indifferenza e reciproca diffidenza. Un’alleanza forse data troppo per scontata da entrambi che nel tempo si era affievolita e diventata anemica: ora è arrivata la svolta e il rilancio.
Non a caso il premier australiano è atteso alla Casa Bianca nelle prossime settimane (il premier inglese Boris Johnson, fresco di rimpasto di governo, lo precederà di qualche giorno) per partecipare al “quad summit” a cui parteciperanno anche i leader di India e Giappone. Una rete di alleanze a geometria variabile il cui scopo comune, nelle visioni di Washington, è fronteggiare la crescente minaccia del dragone cinese nel Pacifico.
Un terremoto geo-strategico
In sintesi la nascita della nuova alleanza militare fra Australia, Regno Unito e Stati Uniti nel Pacifico prevede di fornire a Camberra una flotta di sottomarini a propulsione nucleare (non di armi nucleari, sia ben chiaro). L’annuncio ha provocato pesanti reazioni in tutte le principali cancellerie. La prima a reagire stizzita ovviamente è stata la Cina di Xi Jinping. Un portavoce del ministero degli esteri cinese, Zhao Lijian, ha definito «estremamente irresponsabile» la decisione di esportare in Australia la tecnologia nucleare e ha invitato gli occidentali ad abbandonare l’atteggiamento da guerra fredda. Così l’Australia diventerà la settima nazione nel pianeta a essere dotata di sottomarini a propulsione atomica.
Una reazione furiosa è giunta anche dalla Francia di Emmanuel Macron che come conseguenza dell’accordo anglosassone ha visto cancellare l’intesa siglata nel 2016 per fornire sottomarini all’Australia per 90 miliardi di dollari. «Questa decisione brutale, unilaterale e imprevedibile mi ricorda molto quello che faceva Trump»,ha detto il ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian.
Anche l’Unione europea si è lamentata di come sia stata tagliata fuori da una decisione strategica. Da segnalare che il presidente Xi Jinping, secondo il Financial Times, la scorsa settimana avrebbe rifiutato in una conversazione telefonica l’invito di Biden a un incontro diretto per arrivare a una distensione dei rapporti fra i due stati.
Milley e la Cina
Che la guerra fredda con Pechino stia diventando sempre più il tema prioritario dell’amministrazione Biden lo si è evinto dalla determinazione con cui la Casa Bianca si sia schierata nella vicenda Milley a favore del generale accusato da Trump di “alto tradimento”. Il portavoce del capo dello stato maggiore congiunto delle forze armate Usa, Dave Butler, ha infatti difeso i colloqui telefonici che il generale Mark Milley condusse con le controparti cinesi durante gli ultimi turbolenti mesi dell’amministrazione Trump, all’insaputa di quest’ultimo.
Il presidente Joe Biden, ha affermato di aver “grande fiducia” nel generale Milley. L’inquilino della Casa Bianca si è espresso in questi termini dopo che le indiscrezioni del libro Peril, dei giornalisti Bob Woodward e Robert Costa, hanno messo il generale al centro di una polemica. Secondo le testimonianze raccolte da Woodward, noto per la sua inchiesta sul Watergate che nel 1974 portò alle dimissioni dell’allora presidente Richard Nixon (l’uomo che aprì con il segretario di Stato Henry Kissinger ai negoziati con la Cina di Mao Zedong), Milley avrebbe motivato la propria decisione ai collaboratori avanzando dubbi sulle "facoltà mentali" di Trump. Ora Milley dovrà spiegare i fatti al Congresso e non sarà un passeggiata.
© Riproduzione riservata