Due ore di controllo totale – da parte di migliaia di bolsonaristi – del Congresso nazionale, della sede della presidenza della Repubblica e della Corte suprema. Ogni parallelo con l’invasione di Capitol Hill a Washington potrebbe finire qui.

Quel che è avvenuto a Brasilia in un nuvoloso pomeriggio di piena estate, con la capitale chiusa per ferie, supera per gravità e anche per velleità il colpo di reni nel 2021 del trumpismo sconfitto. Qui è finita senza una sola goccia di sangue, con 300 fermi e una striscia impressionante di danni materiali. Ma lo sfregio ai tre palazzi bianchi disegnati dal geniale architetto Oscar Niemeyer, famosi in tutto il mondo, la dice lunga sul volto del fascismo golpista del nostro tempo, e sulle continue ferite che la disinformazione assesta alle nostre democrazie. L’abbia architettata lui o meno la domenica di follia, Bolsonaro ha superato il maestro Trump.

È stato un vero tentativo di colpo di Stato? E chi sono i “patrioti” di Bolsonaro, come loro si definiscono, che hanno invaso e devastato i palazzi modernisti di Brasilia?

Tutto quello che è successo ieri era in qualche modo previsto, da ben prima delle elezioni dello scorso ottobre e il ritorno al potere di Luiz Inacio Lula da Silva. Da due anni, Bolsonaro si preparava a non riconoscere una eventuale sconfitta nelle urne, soprattutto mettendo in discussione il sistema elettronico di votazione.

Senza mai riuscire a presentare una prova concreta, ma battendo sul tasto attraverso la sua rete di fake news via Whatsapp e gli altri social, il leader di estrema destra aveva già preparato il terreno per un eventuale mobilitazione a suo favore. Solo che, dopo aver perso le elezioni e aver capito che le forze armate, sia pure a lui fedelissime durante il mandato, non l'avrebbero seguito in una avventura golpista, si è sentito franare il terreno sotto i piedi e poco prima di Capodanno, per non assistere all'insediamento di Lula, Bolsonaro è scappato in un resort a Orlando, in Florida.

Nemmeno l'ultimo atto codardo della sua presidenza, però, è riuscito a far smobilitare i gruppi più radicali a suo favore. Nei due mesi di transizione tra le due presidenze, decine di presìdi golpisti sono rimasti attivi davanti alle caserme, con i bolsonaristi radicali che chiedono l'intervento dell'esercito per evitare il ritorno al potere del “ladro” e “comunista” Lula.

L’organizzazione dell’assalto

Scarlett Rocha/AGIF

Quella di ieri era una operazione preparata da tempo, e praticamente alla luce del sole, visto che la convocazione di migliaia di militanti radicali a Brasilia è avvenuta sui social e un centinaio di autobus sono arrivati nella capitale senza il minimo controllo da parte delle forze dell’ordine.

Quando i manifestanti hanno cominciato a marciare verso i palazzi, la connivenza del bolsonarismo ancora al potere è apparsa ancora più evidente. La polizia di Brasilia ha lasciato passare, addirittura scortato, il corteo. Quando si è trattato di tirar giù le ultime transenne, c’erano centinaia di assatanati contro una decina di guardie disarmate e soltanto con lo spray urticante in mano. In alcune immagini i poliziotti familiarizzano con gli invasori, fanno foto o guardano dall'altra parte.

Succede che la polizia di Brasilia non risponde al governo centrale di Lula, ma a quello del Distretto Federale della capitale, governato da Ibaneis Rocha, un bolsonarista duro e puro. La capitale ha votato massicciamente a destra. Il responsabile dell'ordine pubblico, Anderson Torres, è stato ministro della Giustizia nel governo uscente. Potrebbe venir emesso un mandato di cattura nelle prossime ore per il comportamento della sua polizia ma, guarda caso, anche lui è in vacanza in Florida.

Lula ha annunciato che il governo federale, come prevede la Costituzione, commissionerà da oggi l'ordine pubblico nella capitale, togliendolo ai fiancheggiatori del golpe. È un po' una decisione a buoi scappati, ma è l'unica possibile secondo le regole democratiche. Anche la repressione finale dell’invasione è avvenuta con i guanti, con i facinorosi rimossi dai palazzi con gli autobus. Per molto meno, per esempio una rivolta in un carcere, la polizia brasiliana può fare centinaia di morti.

Ma come avrebbe potuto sorgere un colpo di stato da quella che apparsa un'orda di vandali imbecilli, che si sono pure autodenunciati attraverso centinaia di video e selfies diffusi in tempo reale? Difficile capire. Se sono chiare le connivenze del bolsonarismo nelle invasioni, e le indagini cercheranno i finanziatori, durante la giornata di ieri non si è vista traccia di un possibile passo successivo. Tutto era deserto a Brasilia.

Non c'erano Lula, i ministri, i parlamentari, gli odiati giudici della Corte suprema, che ha resistito per quattro anni a tutte le velleità autoritarie di Bolsonaro (non a caso la sua sede è stato il palazzo più devastato). La strategia di mandare avanti i più radicali, per vedere che succede e negare affinità se occorre, è tipica del bolsonarismo fin dalle origini. Gli striscioni chiedendo di chiudere il Congresso o la Corte suprema sono presenza fissa da anni nelle manifestazioni della destra. La quale si è sempre difesa sostenendo che si tratta di quattro mattacchioni radicali su una massa enorme di votanti. Il che è anche vero: ancora oggi secondo i sondaggi il consenso verso Bolsonaro in Brasile è appena sotto quello a Lula, proprio come nelle ultime elezioni.

Ieri a palazzi sgombrati dalla polizia, Lula ha parlato da San Paolo promettendo indagini e mano dura contro i responsabili. È al potere da soltanto una settimana, ma da tempo deve affrontare con i suoi il dilemma di cosa fare con la difficile eredità del bolsonarismo radicale. Dopo aver sperato che per stanchezza i picchetti davanti alle caserme di tutto il Brasile smobilizzassero da soli, ora probabilmente servirà la mano dura. Anche il destino di Bolsonaro potrebbe cambiare dopo la domenica di follia. L’ex presidente è scappato negli Stati Uniti anche perché convinto che prima o poi arriverà per lui un ordine d'arresto. Due le accuse in particolare: il comportamento durante la pandemia Covid (negazionismo su vaccini e lockdown) e l'uso massiccio di fake news durante la presidenza e le due campagne elettorali. Bolsonaro non ha più alcuna immunità. Se le accuse contro di lui sono state gestite finora dalla Corte suprema, oggi qualunque magistrato potrebbe mandarlo dietro le sbarre.

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