«Between me and you… può dirmi se quanto avvenuto in Niger è un atto contro la Francia?». È questo uno dei passaggi più imbarazzanti della ormai nota conversazione avvenuta lo scorso 18 settembre tra la premier Giorgia Meloni e uno dei due comici Vladimir Kuznetsov e Aleksei Stoliarov, meglio conosciuti come Vovan e Lexus.

Innanzitutto perché quando la premier chiede informazioni sul golpe avvenuto nel paese saheliano a fine luglio, la convinzione è che all’altro capo del telefono ci sia il presidente della Commissione dell’Unione africana, il ciadiano Moussa Faki. Quindi non un amico o un membro della maggioranza.

Quasi ci si aspettasse che il presidente di uno degli organismi più importanti dell’Ua – tra le varie funzioni detiene l’iniziativa legislativa, coordina le azioni degli stati membri in sede di negoziati internazionali e sorveglia sul rispetto dell’ atto costitutivo – potesse parlare, senza filtri, di un tema delicatissimo che ha spaccato la stessa Unione e vari organismi regionali.

Poi perché, davanti alla risposta affermativa del sedicente leader africano ( «sì, è un atto anti francese»), Meloni prosegue esprimendo critiche verso la Francia «interessata solo all’uranio», a differenza dell’Italia preoccupata, come al solito, di  un possibile aumento di flussi migratori (per la cronaca, sono pochissimi i migranti giunti in Italia dai paesi interessati recentemente da golpe come Niger, Gabon, Burkina-Faso, Sudan, Guinea o Mali ndr).

Dopo il golpe

Il Niger, nel frattempo, continua a rappresentare uno dei fronti più problematici per l’Unione africana e per la comunità internazionale. Il colpo di stato di un gruppo di ufficiali della Guardia nazionale che il 26 luglio scorso ha rovesciato il presidente Mohamed Bazoum ha  creato ulteriore instabilità in un’area dove jihadismo, crisi ambientali ed economiche stanno mettendo in ginocchio le popolazioni.

Inizialmente, per i progressi ottenuti da Bazoum nel contenimento della penetrazione jihadista (il Niger è il paese meno colpito di tutta l’area saheliana ndr), la natura non dispotica né corrotta del suo governo, così come per la decisa quanto tempestiva presa di posizione dell’Ua, dell’Ue, di vari stati occidentali e dell’Ecowas (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale) che aveva addirittura minacciato un intervento militare, si pensava che il golpe sarebbe rientrato in breve tempo.

A tre mesi abbondanti dagli eventi che hanno portato al potere la giunta golpista, in realtà, la situazione politica non è affatto cambiata mentre le sanzioni che tutti i vari organismi internazionali hanno applicato stanno rapidamente mandando in crisi il paese.

Il primo ministro designato, Ali Lamine Zeine, ha di recente definito «disumane e ingiuste» le sanzioni imposte dall’Ecowas, che ha interrotto la fornitura di elettricità, medicinali e cibo. L’Unione europea, uno dei principali partner del Niger, aveva stanziato 503 milioni di euro «per migliorare la governance, l’istruzione e la crescita sostenibile» per il periodo 2021-2024. Ma, come altri partner,  ha annunciato che avrebbe «immediatamente interrotto» il suo sostegno.

Tutto questo ha prodotto una progressiva chiusura autarchica. Le manifestazioni anti Parigi hanno prodotto il ritiro dell’ambasciatore e il ritorno in patria di 1.500 soldati francesi. Il tentativo di mediazione offerto dall’Algeria è stato rispedito al mittente. E a chi sollecitava una liberazione del presidente Bazoum, la Corte d’appello di Niamey ha risposto dichiarando, simbolicamente,  di aver sventato un tentativo di fuga del presidente.

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