«Illegale, nullo e vuoto». Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha definito con questi termini il rapporto pubblicato il 31 agosto dall’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani (Ohchr). Per Pechino il documento di 48 pagine atteso da tempo – ritardato dalle forti pressioni esercitate dalla Cina all’interno delle Nazioni Unite – è un mosaico di disinformazione, «uno strumento politico degli Stati Uniti e di alcune forze occidentali che usano strategicamente lo Xinjiang per contenere la Cina», ha detto Wenbin.

Gravi violazioni dei diritti umani nella regione autonoma erano già emerse da diversi studi, da testimonianze di persone sopravvissute ai centri di “rieducazione” e da inchieste giornalistiche internazionali, grazie a cui era stato svelato un sistema detentivo e di lavoro forzato nei confronti della minoranza Uiguri (12,5 milioni di persone in base ai dati Ispi) e di altre minoranze musulmane. Ora però è lo studio dell’Onu a definire queste accuse «credibili», individuando il rischio che si verifichino «crimini contro l’umanità».

«Tra tutti, le persone nello Xinjiang, qualunque sia la loro estrazione etnica, sono nella posizione migliore per dire al mondo come sono le condizioni dei diritti umani nella regione», ha contestato il portavoce del ministro degli Esteri, aggiungendo che «negli ultimi anni, lo Xinjiang ha goduto di una crescita economica sostenuta, armonia e stabilità sociale, standard di vita migliori, culture fiorenti come mai prima e libertà di credenze religiose». Favorire l’economia della regione è infatti la risposta di Pechino alla pressione esercitata dalla comunità internazionale: il presidente Xi Jinping lo scorso luglio l’ha visitata per la prima volta dopo 8 anni, centrando il suo discorso non più sul pericolo di terrorismo ma sulla Belt and Road initiative, la nuova Via della seta, che renderà lo Xinjiang non più «un’area remota, ma un hub centrale», aveva detto.

La propaganda di Pechino ha sempre negato tutte le accuse sulle violazioni, considerandole «bugie occidentali». E anche di fronte a questo documento la posizione non cambia: secondo il portavoce della missione permanente Onu a Ginevra, Liu Yuyin, «il rapporto si basa sulla presunzione di colpevolezza e utilizza informazioni false».

Le pressioni della Cina

La pubblicazione dell’Alto commissario, pur non svelando nulla di nuovo rispetto a quanto già emerso dalle inchieste giornalistiche e dagli studi dei think tank, è fondamentale proprio perché proveniente dalle Nazioni Unite: la Cina negli ultimi anni ha portato avanti una strategia di influenza all’interno delle diverse agenzie dell’Onu. Lo stesso Xi Jinping aveva detto, il 1 aprile 2022, che con l’Onu al centro può essere ristabilito l’ordine internazionale.

L’ex presidente cilena ed ex commissaria per i diritti umani dell’Onu, Michelle Bachelet, ha ammesso di essere stata sottoposta a «tremende pressioni per pubblicare o non pubblicare» la relazione. La diffusione del documento è stata infatti rimandata più volte ed è avvenuta solo 13 minuti prima della fine del mandato quadriennale di Bachelet. L’imperdonabile ritardo – definito così da Amnesty international – è stato giustificato dall’ex commissaria: si stava cercando un dialogo con la Cina, ma ciò non significava «chiudere un occhio».

La delegazione del paese asiatico al Consiglio dei diritti umani dell’Onu a Ginevra ha accusato l’organizzazione internazionale di diffamazione e calunnia nei confronti della Cina e di interferenza negli affari interni. Il rapporto «viola gravemente il mandato dell’Ohchr e i principi di universalità, obiettività, non selettività e non politicizzazione», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Wenbin, accusando l’Alto commissariato di essersi «ridotto a un esecutore e complice degli Stati Uniti e di alcune forze occidentali» con l’obiettivo di «costringere i paesi in via di sviluppo ad allinearsi con loro». E le «bugie» diffuse dagli Usa, prosegue il portavoce, sono già crollate perché lo stesso rapporto – «nonostante la sua illegalità» – non è arrivato a riconoscere «false accuse come il “genocidio”».

Per il Congresso mondiale degli Uiguri si tratta di un documento importante ma «ci si aspettava che l’Alto commissario fosse più fermo nei confronti della Cina», ha detto il portavoce Zumretay Arkin.

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