In occasione dell’anniversario del colpo di Stato del 1976 in Argentina, domenica 24 marzo il governo di Javier Milei ha passato il Rubicone del negazionismo sul terrorismo di Stato e i 30mila desaparecidos dell’ultima dittatura.

La Casa Rosada ha infatti diffuso un video di tredici minuti, subito ripubblicato dai maggiori media, con il quale rivendica la cosiddetta «verità completa» sugli anni Settanta, ovvero il punto di vista dei militari golpisti, negando la verità storica e giudiziaria.

Nel video della Casa Rosada, tale «verità completa» ripropone argomenti diffusi nell’opinione pubblica più conservatrice attraverso tre testimonianze senza alcun contraddittorio. Un anziano giornalista, schierato già all’epoca con la dittatura di Jorge Videla, sostiene che in Argentina si sia combattuta una guerra tra civiltà occidentale e sovversione. La figlia di un militare assassinato dai guerriglieri marxisti dell’ERP nel 1974 offre la sua emotiva testimonianza, chiedendo giustizia. Infine, un pentito ex-montonero (la guerriglia peronista) delegittima il numero di 30mila desaparecidos, sostenendo di averlo inventato lui stesso di sana pianta per permettere a più persone (di sinistra) di ottenere indennizzazioni dallo Stato. Se lo dice lui, dobbiamo credergli.

Guerra alla sovversione

Al contrario di Cuba e Nicaragua, le guerriglie in Sud America durante la guerra fredda non hanno mai rischiato di vincere, men che meno quella argentina. In compenso furono un’eccellente foglia di fico per eliminare la parte contestatrice della società. Secondo i calcoli di una delle più eminenti tra le Madri di Plaza de Mayo, Laura Bonaparte, solo 1500 dei 30mila desaparecidos era guerrigliero. Tutti gli altri erano militanti sociali, giornalisti, studenti, sindacalisti, insegnanti, avvocati, religiosi (più di cento), il trenta per cento erano donne e negli anni finali la categoria più massacrata fu quella dei militanti per i diritti umani.

La vicepresidente di Milei, Victoria Villarruel, l’ala militare del governo, sostiene che i terroristi tra il 1969 e l’83 uccisero un migliaio di persone. È l’unica, già che le altre stime si attestano sui 300 morti, un militare ogni cento (presunti) guerriglieri.

Strana guerra, dunque, con vittime a senso unico di sequestri extragiudiziari, e sparizione di ogni traccia dell’esistenza del nemico, corpo compreso. Ciò, tra le tante aberrazioni, con circa cinquecento puerpere assassinate subito dopo il parto, con i neonati bottino di guerra ancora oggi cercati dalle loro nonne.

Il numero dei desaparecidos

Il numero di 30mila desaparecidos in Argentina è un numero storico che si è venuto consolidando col tempo, fino a divenire tradizione, come accade per tutti i grandi massacri e genocidi della storia, compresa la Shoah. Discutere i numeri è di per sé legittimo, ma è quasi sempre una forma di negazionismo volto a delegittimare l’impalcatura storico-giuridica delle responsabilità dei grandi crimini contro l’umanità.

Così oggi Javier Milei difende un numero esatto, 8753, come se fossero pochi, per ledere la credibilità del mondo dei diritti umani. Il dato corrisponde a quello della Commissione Nazionale sulla Sparizione di Persone presieduta da Ernesto Sabato nel 1984. Milei dimentica che quel numero considerasse solo le sparizioni testimoniate alla Commissione poco dopo la fine della dittatura, quasi solo nelle grandi città, e con i perpetratori materiali dei crimini ancora liberi.

In un documento declassificato a Washington nel 2006 si afferma che tra il 1975 e il 1978 in Argentina furono assassinati e fatti sparire 22mila oppositori politici. La dittatura poi durò altri cinque anni e, sebbene a ritmi più lenti, il massacro continuò. Tale dato permette di affermare che il numero storico di 30mila desaparecidos si avvicini alla realtà.

L’ultimo desaparecido: le fonti

C’è un luogo che più di tutti incarna la battaglia per la memoria in Argentina. È l’ex-ESMA, la Scuola Meccanica dell’Armata, in piena Buenos Aires, da dove partirono i voli della morte per circa 5mila dei 30mila desaparecidos. Nel sottoscala di uno degli edifici principali sono ben visibili i buchi dei bulloni sul pavimento che per molti anni sostennero pesanti scaffalature di metallo.

Secondo molteplici testimonianze di sopravvissuti era l’archivio sulle violazioni dei diritti umani lì perpetrate, contenendo faldoni per ogni singolo detenuto desaparecido, poi smontati e fatti sparire al ritorno della democrazia, distrutti o nascosti. Se non esistono tombe né archivi della dittatura e quindi il numero dei desaparecidos può essere contestato, è solo a causa dell’omertà delle forze armate argentine.

Il senso politico del video

A cento giorni dal suo insediamento alla Casa Rosada Javier Milei è in discussione su ogni fronte. Senza maggioranza in parlamento, con l’inflazione ben più rampante che con l’anteriore governo e che sta spingendo all’inedia categorie come i pensionati o i lavoratori salariati, l’esperimento anarcoliberista è a rischio.

A Milei dei diritti umani importa poco, ma sono forti i rumori di una Villarruel pronta a subentrargli con l’appoggio dell’ex-presidente Mauricio Macri, che già esprime mezzo governo compresi Economia e Interni. Anticiparla sull’indulto per i repressori, alla quale Villarruel lega la sua carriera politica, e che il video evidentemente prepara, potrebbe evitare o frenare la caduta. Ma non è riscrivendo il passato che la Storia lo assolverà.

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