Una striscia di terra lunga 14 chilometri al confine con l'Egitto sta tenendo in stallo i negoziati per il cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi. Si tratta del corridoio Filadelfia, che il governo israeliano vuole governare ma che le controparti non intendono cedere, affermando che un cambiamento dello status quo andrebbe contro gli accordi di Camp David firmati tra l’allora presidente egiziano Anwar Sadat e il primo ministro israeliano Menachem Begin nel settembre del 1978. Ma procediamo con ordine.

Lo status quo del corridoio

Largo appena cento metri, il corridoio Filadelfia è di fatto la linea di demarcazione tra Egitto e Gaza, comprende anche il valico di Rafah, quindi l’unica via terrestre di entrata e di uscita non direttamente sotto il controllo di Israele, ma delle autorità del Cairo. Si estende dal Mediterraneo fino al valico di Kerem Shalom.

Dalla firma degli Accordi di Oslo Israele aveva il controllo del corridoio, ma quando le sue truppe si sono ritirate da Gaza nel 2005 è stato designato come zona di confine demilitarizzata. In una prima fase è finito sotto il controllo dell’Egitto – che poteva stanziare un certo numero di truppe lungo il confine – e dell’Autorità nazionale palestinese con la sorveglianza anche di osservatori dell’Unione europea. Questo status quo è cambiato nel 2007, quando Hamas ha assunto il controllo della Striscia.

La presenza dell’organizzazione islamista ha messo in allerta sia Israele che l’Egitto, tanto che sono stati rafforzati i controlli ed è stato imposto un blocco molto rigido sui movimenti di merci e persone che passavano per il valico di Rafah.

Perché è importante per Egitto e Israele

Lasciare il corridoio a Israele significa per l’Egitto non solo avere ammassate lungo il suo confine truppe dell’Idf, ma anche che queste abbiano il controllo su tutto ciò che entra ed esce.

Ora, invece, sono entrambi i paesi a decidere su cosa e chi entra nella Striscia, anche se dal 7 ottobre scorso nulla si muove senza il consenso di Israele. Da Tel Aviv l’autorizzazione deve essere concessa dal Cogat, il Coordinator of government activities in the territories, un organismo molto rigido che di fatto sta impedendo a tanti giovani palestinesi di evacuare dalla Striscia con la scusa che potrebbero essere possibili affiliati di Hamas (a tal proposito vi avevamo raccontato la storia di Majed, un ragazzo rimasto intrappolato a Gaza e che dal 2019 risiedeva in Italia).

Perché mantenere il controllo? Secondo il premier israeliano Benjamin Netanyahu, Hamas usa il corridoio come canale per il trasferimento di armi e fondi ai militanti provenienti dall’Egitto. Tanto che è stato definito dallo stesso premier come «la linea di vita di Hamas con cui si arma e si ricostruisce». Il paese guidato dal generale Abdel Fattah al Sisi ha negato ripetutamente queste accuse, affermando di aver distrutto negli ultimi dieci anni almeno 1.500 tunnel, oltre ad aver sgomberato un’intera città per creare una zona cuscinetto militare larga quasi cinque chilometri fino alla Striscia di Gaza.

Cosa è cambiato dal 7 ottobre e cosa vuole Netanyahu

Dal 7 ottobre scorso il corridoio Filadelfia è stato essenziale per l’evacuazione di migliaia di persone, soprattutto operatori umanitari attivi sulla Striscia e chi aveva passaporti di cittadinanze straniere. Inoltre, tramite Rafah, sono entrati a Gaza i camion carichi di aiuti umanitari, nonostante la ferma opposizione di Israele.

Dopo i bombardamenti nel nord della Striscia, quasi la totalità dei palestinesi si sono trasferiti verso Sud dove si sono ammassati in cerca di rifugio. Ma verso maggio l’operazione militare israeliana è passata a una seconda fase con raid aerei e operazioni via terra anche dalle parti di Rafah.

Questo non soltanto ha messo a repentaglio la vita di oltre 1.5 milioni di persone, ma ha permesso alle forze armate di Tel Aviv di conquistare il controllo del valico e del corridoio, nonostante le critiche da parte di mediatori cruciali come il Qatar e l’Arabia Saudita.

Ora che Netanyahu ha ottenuto il controllo di Filadelfia, però, non intende cederlo. In una conferenza stampa di lunedì ha detto che «l’asse del Male (Iran, Hezbollah, Houthi e Hamasndr) ha bisogno del corridoio, e per lo stesso motivo dobbiamo controllarlo». Netanyahu ha affermato che le condizioni per un cessate il fuoco permanente devono includere una situazione in cui il corridoio «non può essere perforato» e ha chiesto una presenza costante per mantenere alti i livelli di sicurezza.

«Qualcuno deve essere lì... portatemi qualcuno che ci dimostri davvero - non sulla carta, non a parole, non in una diapositiva - ma sul campo, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, che possono effettivamente impedire il ripetersi di ciò che è successo», ha detto Netanyahu. «Finché ciò non accadrà, saremo lì», ha ribadito categoricamente.

La sua ostinazione ha però creato una spaccatura dentro il suo governo, diversi esponenti tra cui il ministro della Difesa Yoav Gallant non sono d’accordo con il suo approccio. Ciò nonostante a fine agosto il governo ha votato a favore di una presenza militare continuativa nel corridoio. A inizio settembre Gallant ha provato a convincere i ministri rappresentanti le correnti di estrema destra a fare un passo indietro per evitare di mandare all’aria i negoziati e spingere piuttosto per il rilascio degli ostaggi, soprattutto dopo il ritrovamento dei cadaveri di sei di loro.

Secondo diversi esperti quel piccolo pezzo di terra considerato così strategico può essere controllato anche attraverso sistemi di videosorveglianza e sensori di ultima generazione, in grado di rivelare ogni movimento sospetto, ma Netanyahu non si fida dell’Egitto. La situazione è tesa e anche Hamas non indietreggia sulla questione. «Senza il ritiro completo dalla Striscia di Gaza e in particolare da Netzarim e Philadelphia non c’è accordo», ha detto domenica ad Al Jazeera il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya.

La posizione dell’Egitto

Se prima i mediatori israeliani dovevano convincere Hamas, ora il tavolo delle trattative si fa più complesso visto che il Cairo considera la cessione del controllo del corridoio come una violazione dei trattati di pace.

La paura dei funzionari egiziani è anche che le truppe israeliane spingano i rifugiati palestinesi verso il Sinai, uno dei progetti di lungo termine a cui ambiscono le figure più radicali del governo Netanyahu. Tutto ciò che riguarda Gaza è di primaria importanza e considerata sicurezza nazionale per le autorità egiziane, tanto che a trattare in prima persona c’è il capo dei servizi segreti generali Abbas Kamel, uno dei negoziatori chiave in questi ultimi mesi.

La situazione è tesa, tanto che come riporta il Washington Post il mese scorso i mediatori egiziani si sono rifiutati di trasmettere l’ultima proposta di Israele ad Hamas, sulla quale non erano assolutamente d’accordo. 

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