Il Niger non è nuovo ai colpi di stato militari. Dall’indipendenza, oltre a numerosi falliti, ce ne sono stati almeno quattro che hanno avuto successo: quello condotto dal tenente colonnello Seyni Kountché nel 1974; il golpe del colonnello Ibrahim Baré Maïnassara del 1996 seguito dal putsch del 1999 guidato dal maggiore Daouda Malam Wanké, nel quale Baré ha perso la vita. Infine c’è stato il colpo del 2010 del maggiore Salou Djibo, anche se in quel caso abbastanza presto l’esercito ha accettato di negoziare con la società civile e i partiti. I colloqui tra i principali attori nigerini, tra i quali l’esercito e il governo transitorio, si sono svolti a Sant’Egidio e hanno portato alla firma del patto repubblicano, una road map verso nuove elezioni democratiche che si sono tenute nel marzo 2011 e dalle quali è uscito vincitore Mahamadou Issoufou.

Quest’ultimo era un politico di lungo corso riparato all’estero durante il regime militare, fondatore del partito socialdemocratico Pnds-Tarayya. Dopo due mandati costituzionali, Issoufou ha lasciato il posto al suo braccio destro Mohamed Bazoum che è stato eletto nel settembre 2020 ed è restato in carica fino allo scorso 26 luglio.

Anche se l’esercito nigerino è da sempre considerato a forte rischio golpe, nulla lasciava presagire il rovesciamento di Bazoum in questo momento. Purtuttavia c’erano già stati due tentativi impacciati contro di lui (nel 2021, a due giorni dall’insediamento, e nel 2022).

Come in altri paesi africani, anche in Niger tra civili e militari non corre buon sangue: ognuno accusa l’altro di non saper gestire il paese, di essere corrotto e pretende la guida dello stato. Dal canto suo l’esercito si presenta come la sola vera istituzione nazionale unitaria. Inoltre i militari risultano sensibili alla catena dei golpe della regione: Mali, Guinea, Burkina Faso e Ciad.

Tradizione militare

In Africa saheliana la tradizione militare ha una sua storia e rivendica da sempre un ruolo di governance nazionale. La complicazione attuale non è data tanto dai jihadisti ma dalla polarizzazione causata dalla guerra in Ucraina.

Pur minaccioso, il jihadismo odierno ha preso il posto delle endemiche ribellioni tuareg, che esistono fin dagli anni Sessanta e che si sono fuse con esso.

Dall’indipendenza vi sono state almeno quattro guerre tuareg in Mali e due in Niger, senza contare le rivolte minori. Gli eserciti saheliani del Mali e del Niger sono avvezzi a tali sfide e nel tempo hanno elaborato una loro peculiare tattica che consiste nell’isolare le rivolte, tagliando fuori interi pezzi di territorio e facendo marcire le crisi lontano dalle capitali e dai giacimenti più redditizi (come ad esempio l’uranio nigerino).

Questione molto diversa è l’influenza che possono avere crisi geopolitiche esterne, lontane dal Sahel ma strategiche e globali per la loro stessa essenza, come la guerra in Ucraina.

La contaminazione russa

Si parla molto sui media occidentali della possibile contaminazione russa anche in questo colpo di stato, tramite la milizia Wagner. Tuttavia Mosca si è allineata all’occidente nel condannare l’estromissione del presidente Bazoum, affermando di non condividere le dichiarazioni della Wagner.

Non sembra per ora che l’esercito nigerino sia orientato a far entrare i russi nel paese, anche se strumentalizza la paura occidentale e manipola i sentimenti anti coloniali della popolazione pur di mantenersi al potere.

In questo i nigerini paiono più vicini alla giunta militare del Burkina Faso, la quale sta continuando a chiedere ai paesi europei (anche all’Italia e salvo ovviamente alla Francia), un sostegno militare nella lotta al jihadismo. La Germania ha appena offerto un supporto di strumenti medevac (evacuazione medica militare).

La “teoria del domino”, cioè che la caduta di una democrazia saheliana trascini con sé tutte le altre, deve tener conto delle differenze tra paesi ed eserciti. Malgrado le dichiarazioni ufficiali, i burkinabé sopportano a fatica l’influenza maliana che tende a essere pervasiva: non si sono certo allontanati da Parigi per finire sotto Bamako. 

Le voci di un possibile intervento militare della regionale africana Ecowas, guidato dalla Nigeria, certamente non piacciono alle popolazioni: temono le conseguenze di un conflitto aperto tra paesi e che il jihadismo ne approfitti. Tra l’altro l’esercito nigeriano non ha buona reputazione né può vantare molti successi nelle operazioni all’estero.

La preoccupazione europea

Certo l’Europa è preoccupata soprattutto perché il Niger di Issoufou e Bazoum era l’alleato più fedele nella lotta contro le migrazioni illegali. Oggi un certo timore sussiste anche per la questione dell’uranio.

È probabile che, dopo un primo momento di disorientamento, si riesca a trattare con la giunta per evitare l’allargamento della sfera di influenza russo-maliana (o magari wagnero-maliana).

Il paradosso di questa situazione è che negli anni Sessanta-Ottanta eravamo abituati ai golpe militari dell’Africa occidentale fomentati, sostenuti o quantomeno autorizzati da Parigi. Non a caso tutti gli alti gradi militari saheliani vengono formati nelle scuole di guerra francesi, salvo eccezioni. Ora, invece, i colpi avvengono fuori da ogni controllo, quasi vi sia un’affermazione di indipendenza da parte africana.

Pensiero unico

L’altro paradosso è che i corpi militari che li commettono sono in genere quelli meglio armati e addestrati dagli occidentali, una deviazione che abbiamo già visto altrove (come in Afghanistan).

Negli ultimi anni la collaborazione tra eserciti e polizie è la forma di cooperazione più finanziata dall’Europa, dovuta al dossier migratorio. Lo si è visto in maniera eclatante nel caso libico: armi e mezzi che alla fine si ritorcono contro chi li ha forniti.

Tali “tradimenti” mettono in crisi la scelta del pensiero unico securitario prediletta dall’Europa fino a oggi, che alla fin fine favorisce le milizie private (come Wagner ma anche altre come Haftar o altre libiche). La decisione di concentrarsi soltanto sugli aspetti di sicurezza ha ridotto le capacità di influenza europea e occidentale ed è divenuta un’arma a doppio taglio. Non è con tali mezzi che si può riconquistare la simpatia dei popoli saheliani, sempre meno convinti del futuro dei loro paesi. 

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