Non ci sono più i golpe di una volta. È durato appena tre ore, nel pomeriggio di mercoledì, il goffo tentativo di golpe a La Paz, contro il governo di sinistra del presidente Luis Arce. Il generale Juan José Zúñiga, militare dalla carriera modesta, ha guidato un gruppo di mezzi e uomini in un’irruzione nel Palacio Quemado, ex sede del governo, dov’era in corso una riunione di Arce con i suoi ministri.

La polizia ha cercato di controllare l’ingresso dei militari, i ministri hanno bloccato le porte dell’edificio con dei mobili, Arce – in diretta tv – ha affrontato faccia a faccia il generale golpista, ordinandogli di ritirarsi.

Dopo tre ore di incertezza, durante le quali le cancellerie latinoamericane e internazionali, tutte le istituzioni e leader politici boliviani, anche quelli d’opposizione, hanno condannato il golpe e la popolazione è scesa in piazza a sostegno della democrazia, il generale si è ritirato, alcuni soldati sono stati inseguiti dai manifestanti, e Arce ha destituito Zúñiga e nominato nuovi vertici militari.

A completare il quadro di questo goffo golpe, le dichiarazioni dell’ex generale golpista, nel momento dell’arresto, ha accusato Arce di aver orchestrato un autogolpe, per rafforzare la propria popolarità. «Perché il golpe non ha funzionato?» gli hanno chiesto durante l’interrogatorio. «Gli altri sono arrivati in ritardo» ha risposto. La tragedia dei cingolati che schiacciarono la democrazia latinoamericana negli anni ‘70, mercoledì a Plaza Murillo a La Paz si è ripetuta in farsa.

Perché è fallito?

Quali le cause del fallito putsch boliviano, dunque? Le risposte più precise verranno nei prossimi giorni. Intanto possiamo avanzare tre considerazioni.

La prima è che è difficile dare credito all’argomento dell’autogolpe. Zúñiga era stato rimosso dal proprio incarico appena il giorno prima, per essersi detto disponibile a intervenire militarmente per «riportare la democrazia, liberare i leader politici d’opposizione» ed evitare la ricandidatura alle presidenziali del 2025 di Evo Morales.

Morales è una figura epica della politica boliviana: sindacalista dei lavoratori della pianta della coca, primo presidente di origine indigena in un paese con il 40 per cento di indigeni, ha guidato la Bolivia tra il 2006 e il 2019, con politiche economiche e sociali di stampo progressista del Movimento al socialismo (Mas), partito attualmente al potere e che domina la politica nazionale da due decenni.

La seconda, è che gli eventi di mercoledì si svolgono in un clima di fine ciclo del lungo governo socialista, nella cornice dello scontro fratricida tra Arce e il suo predecessore, ed ex sostenitore, Morales, nella lotta tra organizzazioni indigene e operaie che costituiscono la spina dorsale del Mas (che oggi non esiste più come partito unitario).

La frattura tra “evisti” e “arcisti” rallenta l’attività legislativa e devia le priorità politiche. Fino a prima del goffo golpe, i due leader battagliavano sulle elezioni dei giudici. La Bolivia è l’unico paese latinoamericano che, dal 2011, sceglie tramite voto popolare i togati, la cui elezione si sarebbe dovuta svolgere nel 2023 ma continua a essere rinviata.

È un evento chiave, poiché saranno quei giudici a decidere sulla candidabilità alle elezioni presidenziali del 2025. Il golpe fallito, paradossalmente, ha ampliato la distanza tra i due gruppi, basti vedere le dichiarazioni dei sostenitori di Morales che accusano Arce di «show politico».

Terza e ultima considerazione: il modello economico boliviano, basato sull’export di materie prime, in particolare del gas, si è inceppato. Il gas, nazionalizzato nel 2006 da Morales, le cui royalty finanziarono efficaci programmi di riduzione della povertà, e le cui esportazioni con prezzi internazionali alti accompagnarono una crescita del Pil del 4 per cento per oltre un decennio, fu la chiave del successo politico del Mas.

Risultati modesti

Arce basa il suo prestigio come il ministro di quel boom economico. Ma oggi i risultati economici sono modesti, il paese ha una mancanza cronica di dollari (indispensabili per ottenere crediti internazionali e finanziare le importazioni, dalle quali dipende – ad esempio – il 90 per cento della fornitura di farmaci), e un deficit fiscale insostenibile, 6 per cento nella media degli ultimi 5 anni.

La mancanza di investimenti, pubblici e privati, ha limitato lo sviluppo di nuovi giacimenti di gas e rallentato lo sfruttamento dei grandi giacimenti di litio. Benché la Bolivia si trovi nel triangolo del litio – il 60 per cento delle risorse mondiali di questo metallo si trova in un’area dell’altopiano tra Argentina, Bolivia e Cile – il paese andino da qui al 2026 aprirà un nuovo solo giacimento, mentre in Argentina saranno 11.

È in questo clima, con lo scontro fratricida della famiglia socialista e i colli di bottiglia di un modello economico che non esporta se non materie senza valore aggiunto, che al crepuscolo, anche l’ombra di un generale patetico può far tremare la democrazia.

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