Le bombe israeliane sul Libano, l’intensificarsi degli attacchi a Gaza, sempre più vicini al confine con l’Egitto, le operazioni in Cisgiordania: l’offensiva militare israeliana si espande e si intensifica, mentre morti e sfollati aumentano. «Temo un allargamento del conflitto», ha fatto sapere questo venerdì il segretario generale Onu, António Guterres.

Il Libano e i «sette fronti»

Gaza, Libano, Siria, Cisgiordania, Iraq, Yemen e Iran: subito dopo la strage di Natale nei campi profughi della striscia, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha squadernato «i sette teatri» della guerra di Israele, che ha definito «multifronte»: «Siamo sotto attacco su sette versanti, e per ora abbiamo reagito su sei».

Negli ultimi giorni si è surriscaldato il fronte libanese: con l’innesco dei lanci di razzi e droni verso Israele, questo venerdì gli aerei da combattimento israeliani hanno attaccato il sud del Libano.

Benny Gantz, che da oppositore di Netanyahu ha accettato di entrare nel gabinetto di guerra, aveva annunciato mercoledì che «il tempo per una soluzione diplomatica si sta esaurendo». Stando ai sondaggi diffusi questo venerdì, sette israeliani su dieci vorrebbero un’operazione militare di terra per allontanare Hezbollah. «Se Hezbollah apre la guerra totale, trasformerà Beirut e il Libano meridionale in un’altra Gaza», aveva detto a inizio mese Netanyahu.

La milizia libanese è legata all’Iran, col quale pure aumentano le tensioni. L’ex premier israeliano Naftali Bennett ha rivelato di aver ordinato di colpire l’Iran; Gallant le ha stigmatizzate come «chiacchiere inutili: saranno i nostri aerei da combattimento a parlare». Anche la Siria riporta attacchi israeliani.

Gaza è già martoriata, non esistono zone sicure e la cifra delle vittime palestinesi ha già sfondato le 21mila. Dopo la strage natalizia nei campi profughi e l’annuncio di Netanyahu circa l’«intensificarsi della campagna militare», questo venerdì essa è arrivata a Khan Yunis, nel meridione della Striscia.

L’espandersi degli attacchi è sia nello spazio che nel tempo: Israele ha dichiarato che «la guerra sarà lunga». Questo venerdì l’Egitto – con la pressione di ulteriori 100mila sfollati ammassati da Gaza verso il suo confine – era ancora alle prese col tentativo di mediazione fra Israele e Hamas per un cessate il fuoco. Intanto la violenza si intensificava in tutto il «multifronte».

I riflessi internazionali

Nonostante gli screzi tra Netanyahu e Gallant, e anche se l’attuale premier è così poco amato che un’ampia fetta di israeliani lo rimpiazzerebbe con Gantz, non c’è nessuna di queste tre figure che non trasmetta messaggi belligeranti.

I gatekeeper, e cioè i portatori di opinione che formano il dibattito, lanciano allerte invano. Gli editoriali si moltiplicano: già a fine ottobre il Financial Times aveva preso posizione «per il cessate il fuoco e contro la punizione collettiva dei palestinesi»; martedì Le Monde ha denunciato «l’apatia dei responsabili internazionali di fronte alla carneficina a Gaza, il che consente a Netanyahu di installare uno stato di guerra permanente».

Ma le reazioni dell’opinione pubblica restano più solerti di quelle dei governi, e di un’Ue i cui riflessi sono rallentati dalla diversità di posizioni al suo interno. Un colpo di reni è arrivato dal premier socialista spagnolo: sulla missione a guida statunitense nel mar Rosso si sono esacerbate le frizioni tra Pedro Sánchez e l’amministrazione americana; il posizionamento del presidente dem Joe Biden sulla guerra in Medio Oriente gli sta del resto già alienando la sua stessa base elettorale, i giovani in primis.

Dunque Antony Blinken, il segretario di Stato Usa, comincia a fare le valigie per parlare di Gaza con Israele a inizio gennaio; è il suo quarto viaggio nella regione dal 7 ottobre.

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