L’Ucraina non è la sola terra divisa dove ci sono regioni reclamate da due stati come il Donbass. Storia e politica si confondono in molti paesi dove l’odio scava fossati terribili, fatti di suolo e di sangue, e dove le frontiere non sono mai sicure. È il caso del Nagorno Karabakh ormai abbandonato dagli armeni (che lo chiamano ancora repubblica dell’Artsakh) e diventato Azerbaigian, o tornato ad esserlo come sostiene la narrazione di Baku.

“Dearmenizzato”

C’è stata una torbida propaganda fatta per procurare una pulizia etnica, com’è avvenuto in Europa, lungo le sponde del Mediterraneo o nel Caucaso già tante volte. Ne scrive la rivista americana Compact – «la passione del Artsakh» – attraverso i racconti di sei donne del Nagorno: il regime azero ha propalato una propaganda anti-armena per spingere la popolazione del Karabakh a lasciare le proprie terre e fuggire in Armenia.

Abbandonare le proprie case in fretta diviene un calvario soprattutto per le donne, abituate alla cura della vita e delle persone. Così oggi l’ex Artsakh è “dearmenizzato” e totalmente “azerizzato”, se così si può dire. Ora si stanno distruggendo anche le chiese rimaste in piedi dopo la ripresa della guerra.

I russi, che avevano un ruolo da garanti, non hanno mosso un dito e sono rimasti a guardare.

Per ottenere tali risultato si manipola la storia come il fatto di riesumare gli antichi “albanesi” caucasici dell’impero romano (da non confondere con quelli balcanici) a cui apparterrebbero quelle terre e additare gli armeni come intrusi etnici. Peccato che gli “albanesi” caucasici sono scomparsi da secoli se non da più di mille anni… e che comunque non sia possibile stabilire una filiazione tra quell’antico popolo e gli azeri moderni, musulmani sciiti di origine etnica turca.

Non è la medesima cosa che avviene oggi in Terra Santa mediante le rivendicazioni incrociate su chi ha diritto a vivere nella West Bank o a Gaza? Chi sarebbe il vero indigeno: gli israeliani discendenti dell’antico popolo ebraico o i palestinesi che si reclamano dei filistei e dei fenici? Anche se si riuscisse a stabilire tale distinzione (impresa pressoché impossibile), chi arbitrerebbe sul diritto esclusivo di abitare quei luoghi?

La terra come proprietà

Il problema è che si tratta di una concezione proprietaria della terra, quella per cui Caino uccise Abele e Romolo suo fratello Remo. Terra e sangue: l’eterna storia dell’uomo che non vuole cambiare. Così la storia viene manipolata per essere utilizzata come arma contro il proprio vicino, per annientarlo o cacciarlo. Oggi in Karabakh si distruggono le croci considerate “falsificazioni”, ma già sappiamo che non sarà possibile cancellare ogni traccia: la storia riemerge sempre anche dalle tombe.

Una società scomparsa riappare perché la storia non si cancella mai del tutto e vive nei ricordi. Gli azeri dovrebbero essere più saggi e guardare alla vicenda del loro alleato turco: nemmeno un “grande male” (Metz Yeghern, come lo chiamano gli armeni, considerandolo il proprio genocidio) come quello del 1915 è riuscito a far dimenticare che in Turchia ci fu una rigogliosa comunità armena.

Quando negli anni Sessanta venne eletto nuovo patriarca degli armeni di Costantinopoli Snork Kalustian, si presentò una donna anziana musulmana, una turca dell’interno, che bussò alla porta e chiese di vedere il neo patriarca. Quando se lo trovò davanti gli disse: «Sono tua madre». Era stata rapita durante i massacri, convertita, naturalizzata turca, con diversi figli tra cui anche un imam.

La “nazionalizzazione” degli armeni turchi, in genere donne e bambini, è stata violenza e sangue, omogeneizzazione e amputazione di un popolo e di una cultura, ma ha lasciato delle tracce. Lo scrittore e giornalista turco Hrant Dink, assassinato nel 2007, e tanti altri con lui hanno riesumato questo popolo di fantasmi che non se ne vanno. I fantasmi di una storia non pacificata e non perdonata tornano sempre.

Identità assassine

Un recente saggio della Guerini e Associati, l’unica casa editrice italiana attenta alla questione armena, illustra la pulizia etno-culturale fatta nella regione del Nakhichevan: Un genocidio culturale dei giorni nostri. Credo si tratti dell’unico libro prodotto in Italia sul Nakhichevan, a cura di Antonia Arslan e Aldo Ferrari, che racconta di come sia stata cancellata ogni memoria armena da quella regione, nel tentativo di proporre un’identità omologata e uniforme.

La storia delle “identità assassine”, per usare l’espressione di Amin Maalouf, è lunga e l’esperimento sempre lo stesso: eliminare ogni pluralismo e ogni apparenza di convivenza nell’illusione di ottenere una cultura uniforme e sempre uguale. Lo si nota anche nei Balcani dove la lotta tra kosovari e serbi non è ancora terminata, cosi come quella tra bosniaci di varia cultura e religione.

Come scrive l’autore turco Cengiz Aktar nel suo bel libro Il malessere turco: «Armeni, greci del Ponto Eusino e siriaci della Mesopotamia sono annientati, gli altri greci vengono mandati in Grecia e gli ebrei subiscono dei pogrom. Questa pulizia etnico-religiosa dell’intera regione dura tre decenni».

Ciò ha forse condotto la Turchia ad divenire un paese più omogeneo, si chiede Aktar? Non tanto visto che i curdi, pur musulmani, sono milioni: «Questa nazione, che esclude i non musulmani e i non turchi, finisce per produrre un dubbio identitario».

È il dubbio – artificiale ma molto pressante – che abbiamo un po’ tutti in questo momento della storia: il terrore sulla propria identità cioè temere di non essere davvero sé stessi, di non sentirsi abbastanza forti, di non sapere chi è amico e chi nemico.

Tutti i popoli, con gradazioni diverse, sono oggi preda di tale malattia. Si tratta di un dubbio indotto da una globalizzazione solo economica che non ha creato una civiltà. Ma è un dubbio falsificato: il fatto di usare storia, terra e sangue rende apparentemente concreto ciò che in realtà è una vera e propria contraffazione.

Nel tempo i popoli hanno abitato vicini, uno aggrovigliato all’altro, si sono combattuti e hanno convissuto, e sempre in ogni caso si sono contaminati a vicenda. La pretesa della purezza (limpieza de sangre dicevano gli spagnoli) è un’assurdità razzista e xenofoba che non ha mai portato bene. La convivenza e l’integrazione sono certamente opera complessa ma non impossibile. Come diceva Hrant Dink «convivere non è una grazia che viene dall’alto ma una civiltà che bisogna produrre… c’è una sola strada: tentare, tentare, tentare».

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