A Doha, in Qatar, è prevista una conferenza delle Nazioni unite sull’Afghanistan, ma attorno a quel tavolo non siederà nessuna donna afghana e non si parlerà della violazione sistematica dei diritti umani che avviene nel paese.

È la condizione imposta dai Talebani in cambio della loro presenza. «Così però la conferenza perde di legittimità e si rischia di dare credito a quello che sostengono i Talebani», dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international Italia. Sarà la prima volta che prenderanno parte ai colloqui: a maggio 2023 non erano stati inclusi e a febbraio 2024 avevano rifiutato l’invito.

Da subito sono iniziate le proteste. Il movimento femminile Justice caravan for women, justice for Afghanistan, ha invitato gli stati a boicottare l’incontro, sostenendo che i Talebani dovrebbero partecipare solo una volta cessate le restrizioni oppressive sulle donne.

Anche le organizzazioni internazionali si sono mosse inviando una lettera sui diritti delle donne alle Nazioni unite, al Consiglio di sicurezza e agli stati membri. Secondo i firmatari, «Doha III offre un’occasione decisiva per dimostrare a tutti gli afghani che i loro diritti umani non sono una merce di scambio, ma il fondamento da cui dipende il futuro del loro paese».

Ad aggravare una situazione umanitaria già critica, da quando i Talebani hanno preso il potere nell’agosto 2021, anche i diritti delle donne hanno subito un tracollo. È stato limitato il loro accesso all’istruzione, al lavoro, alla sanità e negato qualunque tipo di diritto.

«Non è stato un provvedimento unico ma un continuum che ha visto il ridursi degli spazi pubblici, l’allontanamento da molte professioni. Ormai possono solo stare chiuse dentro casa», continua Noury. I Talebani impongono continuamente nuove restrizioni – al momento se ne contano 97, tutte nei confronti di donne e ragazze – e rendono più rigide anche le norme già in vigore.

Promesse infrante

Avevano detto che avrebbero rispettato i diritti delle donne, si erano presentati come diversi, più moderati. «Sembravano i Talebani 2.0, si era diffusa la foto di loro nei luna park, parlavano inglese, sembravano internazionali. Ma ci sono cascati tutti perché erano esattamente gli stessi».

Le prime limitazioni non si sono fatte attendere: fin dal 20 settembre 2021 alle ragazze sopra i dodici anni è stato impedito l’accesso alla scuola. A quella limitazione ne sono seguite molte altre.

Tra le ultime, come si legge nel report annuale delle Nazioni unite dello scorso anno, «è stato vietato di partecipare a programmi radiofonici e televisivi insieme a presentatori di sesso maschile, nel luglio 2023 i saloni di bellezza femminili sono stati costretti a chiudere, nell’agosto 2023 alle donne è stato vietato di entrare a Band-e Amir (uno dei parchi nazionali più noti del paese ndr), nel febbraio 2024 alle donne in televisione è stato richiesto di indossare un hijab nero che lascia visibili solo gli occhi».

Appena tre mesi fa è stata anche annunciata la fustigazione pubblica e la lapidazione per adulterio. «Qualcuno potrebbe definirla una violazione dei diritti delle donne quando le lapidiamo o le fustighiamo pubblicamente per aver commesso adulterio, perché ciò è in conflitto con i loro principi democratici – aveva detto il leader supremo Hibatullah Akhundzada – ma io rappresento Allah, e loro rappresentano satana». E l’applicazione non si è fatta attendere: ci sono state almeno due o tre fustigazioni pubbliche in queste settimane. Inoltre, è stato introdotto il reato di abbandono della casa domestica, «che riguarda sia le donne che vogliono andare via dal proprio marito, sia quelle che vorrebbero scappare da situazioni di violenza. Le adultere vengono frustate e quelle che fuggono dai maltrattamenti finiscono in carcere», spiega Noury.

La situazione delle donne vittime di violenza in Afghanistan non è quantificabile numericamente perché non si ha più contezza del fenomeno.

Secondo il rapporto della missione di assistenza delle Nazioni unite in Afghanistan (dicembre 2023), dei 23 centri per proteggere le donne non ne è rimasto nemmeno uno. Sono stati chiusi perché considerati inutili, secondo i funzionari infatti le afghane sono protette da mariti, padri e fratelli. Quelli che, nella maggior parte dei casi, sono gli abusanti.

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Le malvelate

I casi di donne con il velo indossato in modo “non rigoroso” sono diventati noti con Mahsa Amini prima e Armita Geravand poi, ma non riguardano unicamente l’Iran. «In Afghanistan ci sono i guardiani per la Promozione della virtù e la repressione del vizio, una denominazione che risale al periodo compreso tra il 1996 e il 2001. Fanno quello che fa la polizia della morale in Iran, con la differenza che in Afghanistan ora si sono spenti i riflettori, i media non ci sono più. Inoltre, i talebani hanno adottato tecniche molto subdole, ad esempio come forma di tortura picchiano o feriscono le donne sugli organi genitali o sul seno perché sanno che prima di mostrare quelle parti del corpo, a causa dell’abitudine culturale, la vittima ci penserà due volte».

Nel maggio 2022, le autorità de facto hanno ordinato alle donne di coprirsi, preferibilmente indossando un chadari (indumento che copre il corpo e il viso) in pubblico. E se non portano correttamente il velo, vengono incarcerate e stuprate. Il dolore e lo stigma è così grande che non è raro che provino (e in qualche caso riescano) a uccidersi.

Come riporta il Guardian, Amina ha raccontato di aver preso tutte le medicine della madre, ma è stata salvata dalla famiglia che l’ha portata in ospedale in tempo. «Ogni volta che ricordo che mi hanno toccata non riesco più a vivere». O ancora, la storia di Zahra, che si è impiccata una volta uscita dalla prigione.

Uno degli altri fenomeni in crescita è quello dei matrimoni infantili, precoci e forzati. «Le madri che non hanno modo di percepire reddito in un contesto di povertà estrema si trovano davanti a due scelte, entrambe dolorose: o fanno morire di fame le figlie o le danno in sposa a qualcuno».

Tutta questa situazione, continua Noury, «può essere riassunta nel concetto di apartheid di genere, ma uno dei problemi è che i riflettori su questo stato si stanno spegnendo sempre di più». In parte l’informazione interna è stata messa a tacere. Secondo i dati del rapporto 2023-2024 di Amnesty, tra il l’agosto 2021 e 2023 più della metà degli organi di informazione afghani è stato chiuso e due terzi dei giornalisti ha lasciato il lavoro.

In parte però c’è stata anche un’indifferenza generale fuori dai confini. «Il Pakistan ha attuato misure per rimandare in Afghanistan i cosiddetti migranti illegali, cioè persone che erano davanti all’Unhcr e che per una serie di questioni non hanno ricevuto un documento di riconoscimento in tempo, l’Iran ha costruito un muro, la Turchia ha rafforzato i controlli, ma questo è un tema completamente ignorato. E poi, cercando di salvarsi, finiscono a morire sulle spiagge di Cutro. Non solo li abbiamo ignorati, ma li abbiamo anche lasciati morire in mare».

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