Gli americani di discendenza asiatica peseranno sulla corsa alla Casa Bianca di novembre. Lo dicono i numeri. Dal 2010 al 2020, questi sono stati la minoranza che negli Stati Uniti ha registrato la maggiore crescita demografica, ammontando ormai a ben 24 milioni di persone. Molti di più rispetto agli anni Sessanta, quando ancora si combatteva in Vietnam e oltreoceano se ne contavano appena un milione. Le stime indicano poi che nel 2060 saliranno a 35 milioni.

Oggi costituiscono il 5 per cento dei potenziali elettori di novembre. Numeri assai inferiori rispetto ad altre importanti minoranze come quella afroamericana e latina, ma che li rendono tuttavia appetibili agli occhi di molti, per via soprattutto della loro partecipazione record nelle elezioni di metà mandato del 2018 e in quelle presidenziali del 2020. Voti che potrebbero avere un certo peso anche in stati “in bilico”, come la Georgia, dove nel 2020 gli asiatici contribuirono all’elezione di Biden e a quella di due democratici al Senato federale. Ma anche in Nevada, stato in cui rappresentano il 10 per cento degli elettori.

Non è un caso, infatti, che a Las Vegas i due partiti abbiano promosso messaggi elettorali specificamente rivolti agli “Asian-Americans”. Del resto, nel suo discorso conclusivo alla convention democratica di Chicago, Kamala Harris non ha mancato di ricordare come fosse cresciuta con una madre arrivata dall’India che aveva il sogno di diventare una scienziata e di curare il cancro. Di contro, Trump ha accusato la sua oppositrice di definirsi opportunisticamente sia indiana che afroamericana.

Gli asiatici avranno con buona probabilità un impatto anche nelle prossime competizioni elettorali statali e locali, ma il loro indirizzo di voto non può essere dato per scontato, anche in considerazione del fatto che il 42 per cento ha recentemente dichiarato di non aver ricevuto alcun contatto dai rappresentati dei due partiti. Dalle elezioni per la Casa Bianca del 2000 in poi, gli asiatici hanno stabilmente votato a favore dei democratici, con picchi di consensi oltre il 70 per cento nelle due elezioni del 2008 e 2012, vinte da Obama, e in quella del 2016 persa da Hillary Clinton.

I numeri sembrerebbero quindi avvantaggiare Harris, vuoi per la propria etnicità, vuoi per il sentimento anti-asiatico fomentato da Trump negli anni del Covid. Ciononostante, alcuni elementi inducono alla cautela.

Dem in calo

Biden e i democratici hanno visto la propria quota di consensi assottigliarsi al 68 per cento nel 2020 e al 64 per cento nelle elezioni di metà mandato del 2022. Inoltre, i sondaggi indicano come gli asiatici mostrino affiliazioni partitiche abbastanza deboli (il 31 per cento si dichiara indipendente), al punto che i democratici che si dicono “fortemente” legati al partito sono in numero ben inferiore rispetto alla media nazionale (59 per cento contro 67 per cento).

Bisogna poi ricordare come nel 2022 la Chinatown di Sunset Park, bastione democratico di Brooklyn, ha voltato le spalle al partito dell’asinello per sostenere la candidatura a governatore del repubblicano Lee Zeldin, il quale, seppur sconfitto, avvicinò molti cavalcando il tema della crescente criminalità a New York.

In Texas poi, sempre nel 2022, il repubblicano George Abbott ha visto la sua riconferma a governatore grazie anche al 52 per cento degli asiatici. È presumibile quindi pensare che i repubblicani cercheranno di convincere parte degli asiatici giocando su argomenti a questi cari, come la difesa della famiglia tradizionale e della libertà imprenditoriale. Magari si spingerà anche su temi che i sondaggi mostrano essere d’interesse per gli “Asians” e rispetto ai quali i democratici appaiono più in difficoltà, quali l’inflazione, l’immigrazione e, appunto, il crimine.

Comunità giovane

Ma chi sono gli asiatici americani? L’etichetta “Asian-Americans” venne coniata negli anni Sessanta ed ha assunto una valenza più politico-culturale che reale, dal momento che racchiude persone discendenti di una ventina di paesi e che parlano lingue diverse, pur con una prevalenza di cinesi, indiani, giapponesi, filippini, sudcoreani e vietnamiti. Ben 7 milioni vivono in California, con 2 milioni presenti rispettivamente anche in Texas e New York. In molti non amano identificarsi come “Asian Americans”, preferendo definirsi “Asians”, “Americans”, piuttosto che richiamarsi alla propria nazionalità.

Nella loro eterogeneità, oggi gli asiatici americani rappresentano una giovane e vivace comunità (due terzi hanno meno di 44 anni), con livelli di istruzione e reddito che superano la media nazionale. Una certa rilevanza pubblica l’hanno assunta in particolare gli indiani, che dal 2016 sono numericamente il principale gruppo di persone nate all’estero, superando persino i messicani. Ricchi di risorse economiche e qualifiche professionali, rappresentano ormai una lobby capace di investire soldi nella terra di origine e di condizionare la politica estera statunitense, come in occasione della stipula nel 2008 dell’accordo nucleare indo-statunitense.

Si stima quindi che a novembre saranno ben 15 milioni i potenziali elettori asiatici. Un numero che la Harris e Trump non si possono permettere di trascurare.

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