A Pechino c’è irritazione per l’esercitazione militare che il Giappone condurrà con i partner europei dell’Alleanza atlantica nel Pacifico occidentale. Policymaker e analisti sono convinti che gli Stati Uniti intendano servirsi degli alleati della Nato e di Tokyo per “contenere” la Cina, come l’Unione sovietica durante la Guerra fredda.

Il ministero della Difesa nipponico ha annunciato che il 19 e il 20 luglio oltre 30 aerei militari provenienti da Francia, Germania e Spagna effettueranno manovre congiunte nell’ambito del dislocamento bimestrale “Pacific Skies”. Gli F-2 giapponesi si addestreranno con i jet Rafale francesi nello spazio aereo intorno alla base di Hyakuri, e con gli Eurofighter Typhoons tedeschi e spagnoli decollando da quella di Chitose, nell’isola di Hokkaido. Per la prima volta Germania, Francia e Spagna parteciperanno assieme a una esercitazione nel Pacifico. Nell’attenzione crescente per la regione da parte dell’Alleanza creata nel 1949 come argine contro il comunismo sovietico in Europa, la rivalità tra Stati Uniti e Cina si intreccia con gli interessi dell’industria bellica.

Spaventato dall’ascesa della Cina, il Giappone (principale alleato Usa nell’Asia-Pacifico) mira a migliorare le capacità tattiche delle sue Forze di autodifesa (Sdf) grazie al coordinamento con gli eserciti dei paesi Nato. Mentre Francia (con Dassault), Germania (con Airbus) e Spagna (con Indra) sono partner nel progetto Future Combat Air System, che nei prossimi anni dovrà sviluppare, tra l’altro, un nuovo jet per sostituire Eurofighter e Rafale e armamenti di nuova generazione, l’Italia, che non sarà presente all’addestramento di fine mese, assieme a Giappone e Regno Unito è nel concorrente Global Combat Air Program.

La strategia di sicurezza nazionale nipponica (dicembre 2022) ha accresciuto il ruolo delle Sdf e abbandonato di fatto il pacifismo post bellico, mentre il premier Fumio Kishida e i suoi generali hanno lanciato più volte l’allarme: nell’Indo-Pacifico potrebbe riprodursi uno scenario ucraino.

L’eco di Mosca

«Consideriamo quest’attività una potenziale minaccia per la sicurezza della Federazione russa», ha protestato il ministero degli Esteri di Mosca, stigmatizzando come “categoricamente inaccettabile” il war-game che il Giappone intende condurre a circa 500 chilometri dall’isola russa di Sakhalin, soprattutto per la partecipazione di Germania e Spagna.

A Pechino la retorica anti Nato fa eco a quella di Mosca. «Il piano del Giappone di esercitazioni militari congiunte con i paesi membri della Nato è stato chiaramente orchestrato dagli Stati Uniti. Questa mossa del Giappone è l’ultima azione volta a promuovere una “versione Asia-Pacifico della Nato”», sostiene il quotidiano Global Times. Il sospetto degli ambienti legati all’Esercito popolare di liberazione e dei nazionalisti è che gli Stati Uniti stiano utilizzando i loro alleati della Nato e il Giappone per concentrare risorse e capacità di combattimento nel Pacifico occidentale. Una diffidenza che non potrà che aumentare con la terza partecipazione consecutiva di Tokyo a un vertice annuale della Nato, quello che si terrà a Washington dal 9 all’11 luglio.

Il summit è stato preceduto dalle accuse durissime che il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg (che il 1º ottobre sarà sostituito dall’ex premier olandese Mark Rutte) ha rivolto alla Cina. Al Wilson Center, nella capitale Usa, il 17 giugno scorso, Stoltenberg ha denunciato che «l’anno scorso, la Russia ha importato dalla Cina il 90 per cento della sua microelettronica, utilizzata per produrre missili, carri armati e aerei.

La Cina sta anche lavorando per fornire alla Russia capacità e immagini satellitari migliorate. Tutto ciò consente a Mosca di infliggere più morte e distruzione all’Ucraina, rafforzare la base industriale della difesa russa ed eludere l’impatto delle sanzioni e dei controlli sulle esportazioni. Pubblicamente, il presidente Xi ha cercato di dare l’impressione di occupare una posizione defilata in questo conflitto. Per evitare sanzioni e mantenere il flusso commerciale. Ma la realtà è che la Cina sta alimentando il più grande conflitto armato in Europa dalla Seconda guerra mondiale. E allo stesso tempo vuole mantenere buoni rapporti con l’Occidente. Ebbene, Pechino non può avere entrambe le cose. A un certo punto – e a meno che la Cina non cambi rotta – gli alleati dovranno imporle un costo».

Tra retorica e realtà

Pechino continua a difendere la sua “neutralità” e sostiene che i suoi commerci con Mosca di tecnologia a doppio impiego (civile-militare) avvengono «nel rispetto di leggi e regolamenti».

Per Stoltenberg la sicurezza del continente europeo è “inseparabile” da quella dell’Indo-Pacifico: la guerra in Ucraina non è una questione euro-atlantica, ma fa parte di un più ampio contesto geostrategico, che comprende anche il Pacifico e che vede da una parte gli Usa e i loro alleati della Nato e nel Pacifico, e dall’altra Cina, Russia, Corea del Nord e Iran. E ancora, «il crescente allineamento tra la Russia e i suoi amici autoritari in Asia rende ancora più importante la nostra stretta collaborazione con i nostri amici nell’Indo-Pacifico».

È questa la visione che sarà affermata dai 32 stati membri dell’Alleanza e che verrà messa nero su bianco dal prossimo summit della Nato? Il comunicato di quello del 2023 aveva definito la Cina una “sfida sistemica” per la Nato, l’aveva invitata a non sostenere la Russia, ma aveva affermato che la Nato resta «aperta a un impegno costruttivo con la Repubblica popolare cinese».

Questa volta il rafforzamento della cooperazione tra la Nato e i cosiddetti “IP4” (Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda) potrebbe concretizzarsi soprattutto in una maggiore solidarietà diplomatica, ma anche intraprendere la strada della creazione di un ecosistema di deterrenza “comune” tra l’Europa e l’Indo-Pacifico. Sviluppi ai quali Pechino guarda con crescente inquietudine.

© Riproduzione riservata