Siamo a un punto di svolta sul conflitto nella Striscia di Gaza, dove la cautela di Joe Biden di non perdere i voti degli ebrei americani in vista del voto di novembre sembra essere stata messa in soffitta dopo la richiesta di dimissioni di Benjamin Netanyhau espressa da parte del senatore democratico di New York e leader della maggioranza al Senato, Chuck Schumer, alleato di ferro di Israele.

Dopo questo duro intervento di Schumer contro Bibi, Biden ha deciso, senza esplicitarlo, di far diventare l’ipotesi di attacco di Israele a Rafah, dove si rifugiano 1,5 milioni di profughi della Striscia, una linea rossa che se superata potrebbe far deragliare i rapporti tra Washington e Tel Aviv.

La prima novità è che c’è una bozza di risoluzione Usa sul cessate il fuoco a Gaza che dovrebbe essere messa al voto in Consiglio di Sicurezza Onu entro la settimana.

Il testo afferma che «il Consiglio di Sicurezza determina l'imperativo di un cessate il fuoco immediato e prolungato per proteggere i civili di tutte le parti, consentire la consegna di assistenza umanitaria essenziale e alleviare la sofferenza umanitaria».

E «verso tale obiettivo sostiene inequivocabilmente gli sforzi diplomatici internazionali in corso per garantire tale cessate il fuoco in connessione con il rilascio di tutti gli ostaggi rimanenti».

Si tratta del linguaggio più forte usato dagli Stati Uniti finora, tenendo conto che solo il mese scorso hanno obiettato all'uso del termine «immediato» in una bozza di risoluzione presentata dall'Algeria e poi bocciato con un veto.

Il segretario di Stato Blinken ha detto che gli Stati Uniti hanno presentato un progetto di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell'Onu chiedendo un «cessate il fuoco immediato legato al rilascio degli ostaggi» nella Striscia di Gaza.

«Abbiamo presentato una risoluzione ora all'esame del Consiglio di Sicurezza che chiede un cessate il fuoco immediato legato al rilascio degli ostaggi e speriamo vivamente che i paesi la sostengano», ha detto mercoledì sera al media saudita Al Hadath.

Dall'inizio della guerra gli Stati Uniti hanno posto il veto a diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiedevano cessate il fuoco immediati e duraturi.

Insomma una svolta. Senza contare che come riporta Barak Ravid di Axios il direttore della Cia, Bill Burns incontrerà venerdì a Doha il primo ministro del Qatar, il direttore del Mossad e il capo dell'intelligence egiziana per discutere i negoziati sull'accordo sugli ostaggi come confermato dall'ufficio del primo ministro israeliano.

I colloqui al Cairo

Ma c’è di più. Dopo i colloqui al Cairo con il segretario di Stato Usa Antony Blinken, si è svolto un incontro tra i ministri arabi degli Esteri, di Egitto, Arabia Saudita, Qatar, Giordania, il ministro degli Emirati Arabi Uniti per la Cooperazione Internazionale e il Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell'Anp «per discutere gli sforzi necessari per fermare la guerra israeliana e raggiungere un cessate il fuoco a Gaza e garantire la piena erogazione degli aiuti».

Qualche giorno fa il segretario generale dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), Hussein al Sheik, aveva portato a Doha, in Qatar, la proposta di nomina di un nuovo governo Anp presieduto dall'economista Mohammad Mustafa, 69 anni e già membro dell'esecutivo.

L’Anp da tempo è screditata e in forte declino dei consensi sia in Cisgiordania che nella Striscia. La governance nella Gaza del dopoguerra era uno dei temi segnalato da Blinken nell'intervista di mercoledì all'emittente saudita Al Hadath: pur precisando di non voler inferire nelle scelte dell'Anp, auspicava la formazione di un governo di di giovani da Gaza e dalla Cisgiordania, che segni un nuovo capitolo della storia della Palestina.

In missione nella regione, il segretario di Stato americano Antony Blinken oggi incontrerà il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e gli altri membri del gabinetto di guerra.

La tela paziente di Blinken 

Ma cosa c’è dietro questa ragnatela di contatti? Israele starebbe lavorando ad un piano secondo cui leader palestinesi e uomini d'affari non legati ad Hamas assumano un ruolo chiave nella distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza e che alla fine diventerebbe autorità di governo locale.

Lo ha riferito il Wall Street Journal, secondo cui alti esponenti del ministero della Difesa hanno già preso contatto con Egitto, Emirati Arabi e Giordania con l'obiettivo di costruire un sostegno regionale alla proposta.

Funzionerà? La strada è in salita ovviamente ma non ci sono altre vie se non il rinnovamento dell’Anp, dopo anni di sclerosi politica. E Israele? Netanyahu naturalmente non conferma ma pezzi del suo governo di unità nazionale alimentano l'ipotesi di una exit strategy per Gaza nel dopo guerra, facendola trapelare ai media.

Resta il fatto che l'ipotesi di affidare la gestione degli aiuti a Gaza a una non meglio identificata "entità" palestinese che poi dovrebbe amministrare Gaza nel post guerra, è ancora una proposta piena di interrogativi irrisolti ma resta il segnale politico che qualcosa si muove per non lasciare che siano solo i clan e le fazioni palestinesi a intervenire oggi per proteggere gli aiuti a Gaza e domani per gestire il precario equilibrio della Striscia alla prese con carestia, malattie infettive e profughi senza luoghi dove rifugiarsi.

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