In queste ore drammatiche a Tel Aviv si gioca una partita decisiva sui destini del Medio Oriente dopo sette mesi di guerra nella Striscia. Se il governo Netanyahu sceglierà di non firmare un’intesa con Hamas per il cessate il fuoco e la liberazione di prigionieri e di attaccare Rafah, le famiglie degli ostaggi scenderanno di nuovo in piazza, la maggioranza parlamentare potrebbe implodere e i rapporti con gli Stati Uniti e i paesi arabi moderati tra cui l’Arabia Saudita rischierebbero nuove laceranti tensioni.

In questo coacervo di segnali contraddittori, secondo il giornalista Barak Ravid di Axios «il governo israeliano avrebbe avvertito l’amministrazione Biden che se la Corte penale internazionale emetterà mandati di arresto contro i leader israeliani, adotterà misure di ritorsione contro l’Autorità palestinese che potrebbero portare al suo collasso».

Un segnale inquietante: Israele teme che la Corte penale internazionale dell’Aja possa emettere dei mandati per violazioni dei diritti umani contro esponenti del governo israeliano, che così non potrebbero più recarsi in uno dei 124 paesi che accettano le decisioni della Cpi. Israele, secondo Axios, avrebbe detto agli Stati Uniti di avere informazioni che suggeriscono che i funzionari dell’Autorità Palestinese stanno facendo pressioni sul procuratore della Cpi affinché emetta mandati di arresto contro i leader israeliani. Da qui la minaccia di ritorsioni sull’Anp di abu Mazen.

Hamas prende tempo

In una telefonata al capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamal, Haniyeh ha detto che «la delegazione negoziale del movimento islamista verrà in Egitto il prima possibile per completare le discussioni in corso con l’obiettivo di maturare un accordo che soddisfi le richieste del nostro popolo e fermi l’aggressione».

In precedenza la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre aveva sottolineato che «nessuna risposta è arrivata ancora da Hamas» sulla proposta di accordo per la tregua a Gaza, mentre Yahya Sinwar – leader di Hamas a Gaza - aveva detto di considerare la proposta di intesa come «una trappola». Secondo Sinwar, «la proposta sul tavolo non sarebbe una proposta egiziana, ma una proposta israeliana sotto mentite spoglie».

Ma i negoziati continuano

Giovedì mattina Osama Hamdan, alto rappresentante di Hamas in Libano in una intervista ad una tv locale, ripresa dal New York Times ha comunicato che «la posizione sull’attuale documento negoziale è negativa». Ma i negoziati continuano. Hamas ha poi precisato che questo «non vuol dire che i negoziati si siano fermati». «Anche se il gruppo non accetta le attuali proposte israeliane senza modifiche, siamo disposti - ha continuato - a continuare a negoziare».

Il quotidiano saudita Asharq, ripreso dal quotidiano israeliano Haaretz, fa sapere che l’Egitto inviterà le delegazioni israeliane e di Hamas al Cairo per cercare di colmare le lacune sull’accordo sulla liberazione degli ostaggi. La mediazione del Qatar è stata messa all’angolo.

Netanyahu su Rafah

«Faremo ciò che è necessario per vincere e sconfiggere il nostro nemico, anche a Rafah», ha detto il premier Benjamin Netanyahu intervenendo ad una cerimonia in onore dei soldati caduti. «C’erano e ci sono differenze di opinione dentro di noi - ha aggiunto riferendosi alla diversità di posizioni nel governo - riguardo alle azioni in arene lontane e vicine. Ma alla fine della discussione la decisione è stata presa. Abbiamo agito lì e - ha concluso - agiremo anche qui».

Israele ha colpito «l’imbocco di un tunnel e una postazione di lancio di mortaio nel centro della Striscia dopo che erano stato tirati numerosi proiettili contro i soldati che operavano nell’area». Lo ha fatto sapere il portavoce militare aggiungendo che in un’altra operazione è stata «eliminata una cellula di operativi che si trovava vicino ai militari». Secondo la stessa fonte, altre «infrastrutture di gruppi terroristici della Striscia, inclusi tunnel, edifici ed operativi sono stati colpiti» nelle ultime 24 ore.

Un gruppetto di manifestati, inclusi parenti degli ostaggi israeliani a Gaza, ha bloccato ieri mattina per meno di mezz’ora il già caotico traffico sulla tangenziale di Tel Aviv per spingere il governo ad un accordo per la liberazione dei rapiti. Uno dei cartelli innalzati dai dimostranti recitava: “O gli ostaggi o Rafah”. «Entrare a Rafah significa rinunciare alla vita degli ostaggi. Ci hanno promesso per sei mesi che solo la lotta avrebbe riportato indietro i rapiti, oggi - ha sostenuto una rappresentante di “Protesta delle donne”, - capiamo tutti che l’unico modo per salvare coloro che sono possibili è solo attraverso un accordo».

Intanto gli Stati Uniti hanno finito di costruire il molo per gli aiuti a Gaza. Non resta che attendere il suo utilizzo al più presto possibile. Tutto questo mentre la Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha bloccato l’import e l’export verso Israele.

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