In quanto ad ambizione, il progetto hongkonghese chiamato West Kowloon Cultural District (Wkcd) non è davvero secondo a nessuno: 40 ettari di terreno lungo lo spettacolare Porto di Vittoria, 17 fra musei, teatri, spazi pubblici, spazi espositivi e sale per conferenze, nonché locali commerciali e appartamenti di lusso che devono aiutare a cofinanziare il progetto.

Il resto del finanziamento è pubblico, con un assegno di più di 3 miliardi di euro da parte del governo di Hong Kong. Il progetto ha attraversato diverse fasi, e, per una città che ama andare di fretta come questa, che tutto sia cominciato nel 1996 quasi sorprende, ma fu proprio allora che Hong Kong decise che era il momento di creare un grande complesso per le arti e la cultura.

L’anno successivo, nel luglio del 1997, il territorio avrebbe iniziato la sua nuova vita come regione amministrativa speciale della Repubblica popolare cinese, e il futuro era più illeggibile che mai. Ma Hong Kong si preparava a quell’appuntamento decisa a conservare le sue libertà politiche e a conquistarne altre, desiderosa di lasciarsi dietro il colonialismo e affermare una cultura del sud della Cina che era stata a lungo stemperata dalla presenza britannica.

Oggi, la costruzione degli edifici dediti alla cultura è quasi terminata, e la costa sud-ovest di Kowloon offre allo sguardo una serie di edifici monumentali. Le libertà, politiche e sociali, invece, sono in diminuzione.

Il caso M+

Fra i musei che si possono visitare a Hong Kong c’è l’innovativo M+, il primo museo asiatico che vuole rivaleggiare con i grandi europei e statunitensi, quali il centro Pompidou, il Guggenheim o la Tate Gallery, e che si definisce, non senza un pizzico di vanità, un museo della cultura visiva moderna. Progettato da Herzog & De Meuron, la parte superiore del museo, dove sono gli uffici, è un enorme schermo su cui si muovono immagini che i curatori commissionano a videoartisti locali e internazionali, visibili dall’altro lato del porto.

È stato aperto esattamente due anni fa, dando a tutti la possibilità di vedere l’impressionante Sigg Collection di arte cinese contemporanea, una fantastica galleria del design, dove si trovano sia uno dei primi bar sushi – trasportato a Hong Kong da Tokyo pezzettino per pezzettino – sia i giocattoli di plastica dell’industrializzazione del dopoguerra di Hong Kong, sia oggetti iconici come il Sony Walkman o le cuoci-riso taiwanesi TaTung. La sezione sull’Asia vede alcuni dei movimenti d’avanguardia più importanti – come il Gutai giapponese o il Tansaekwa coreano – e mostre sull’evolversi dell’arte contemporanea nel sud-est asiatico o nel subcontinente indiano.

Ad accompagnare le gallerie d’arte ci sono anche tre cinema, e una mediateca. A nord di M+ c’è l’inusuale struttura del Xi Qu Centre, dedicato all’opera cinese, progettato da Ronald Lu & Partners, un edificio quasi rotondo con fenditure triangolari per l’ingresso e le finestre, ispirato alle lanterne cinesi e ai sipari teatrali.

Entro il 2025 sarà terminato il Teatro Lirico, 41mila metri quadrati, disegnato dall’olandese Ben van Berkel, dell’UNstudio. Qui saranno tre teatri, con quasi 2.500 posti complessivi. L’edificio è arioso, con finestre fra la città, il mare e i palchi, e un susseguirsi di atrii, lobby fatte a otto interamente in vetro, e balconi affacciati sul mare. Che le cose cominciassero a prendere una piega diversa da quanto inizialmente previsto si capì nel 2015: Carrie Lam, allora capo dell’esecutivo (la più alta carica politica locale), a un gala a Pechino annunciò la costruzione di un museo della Città Proibita a Wkcd.

Il primo museo del distretto costruito senza gara o consultazione pubblica, un “regalo” a Hong Kong da parte di Pechino cofinanziato dalla maggiore istituzione caritatevole locale, il Jockey Club (che gestisce l’unica forma di gioco d’azzardo legale a Hong Kong, le scommesse sulle corse dei cavalli).

È stato il museo costruito più in fretta dell’intero complesso: Rocco Yim, l’archistar locale, si è ispirato agli antichi bronzi cinesi, creando un contenitore a trapezio rovesciato. Pechino sceglie periodicamente quali oggetti inviare a Hong Kong, prelevandoli dalle collezioni della Città Proibita, e la curatela del museo è interamente pechinese; il museo non ha una sua collezione, ma solo prestiti.

La dimensione politica

Il momento politico scelto da Carrie Lam per l’annuncio era delicato, trattandosi del primo anniversario delle proteste pro democrazia note come Movimento degli ombrelli, una delle maggiori proteste viste a Hong Kong, terminate però nell’indifferenza del governo. Dopo 79 giorni di occupazione di alcuni dei punti nevralgici di Hong Kong per chiedere il suffragio universale, gli studenti vennero fatti sgomberare dietro denuncia di un’azienda di taxi e mini autobus, rivoltasi alle corti per il danno economico arrecatole dalle manifestazioni.

Le autorità avevano stabilito che il problema degli hongkonghesi era una scarsa conoscenza e amore per la madre Patria, e il progetto del museo di Palazzo venne presentato come l’opportunità di avere in casa alcuni dei capolavori della civiltà cinese, per ispirare orgoglio in una popolazione locale più impegnata ad affermare la sua cultura che non a stemperarsi in quella nazionale.

Al momento, una mostra temporanea sui tesori di Sanxingdui, nel Sichuan, rende accessibili a Hong Kong alcune scoperte archeologiche fatte negli ultimi anni, con sculture in oro e bronzo di volti e corpi umani dagli occhi molto allungati e le fronti schiacciate, prodotte da una cultura dell’età del bronzo, attiva dal 4500 al 2600 avanti Cristo (circa) e della quale si sa ancora molto poco. Impossibile negarne la bellezza e l’interesse, ma anche l’intenzione patriottica.

Anche M+ si è presto trovato a fare i conti con la nuova èra, iniziata il 30 giugno del 2020, quando, dopo le manifestazioni pro democrazia del 2019, che incontrarono una violenza poliziesca senza precedenti a Hong Kong e che cessarono solo con l’arrivo della pandemia, Pechino ha deciso di imporre una legge sulla Sicurezza nazionale che rende Hong Kong molto più simile al resto della Cina, dal punto di vista legislativo e per quanto riguarda le libertà civili e politiche.

Così, la tanto attesa apertura di M+ avvenne dopo che alcuni legislatori pro governo avevano messo in guardia dall’esporre opere di Ai Weiwei (due vennero ugualmente esposte, con grande coraggio da parte dei curatori). Nella Sigg Collection, poi, si poterono ammirare dei lavori che richiamavano i fatti del 1989, inclusa la sanguinosa repressione delle manifestazioni a Tiananmen. In particolare, Nuova Pechino (2001) di Wang Xinwei, elaborazione assurdista di una famosa fotografia del 1989, in cui cittadini angosciati trasportano due pinguini feriti (nella foto originale si trattava di manifestanti), o l’incredibile video Acqua (1991) di Zhang Peili, che riprende l’annunciatrice che aveva reso nota l’occupazione militare di Piazza Tienanmen mentre legge con il suo accento perfetto e privo di emozione tutte le definizioni della parola “acqua” da un dizionario.

Del resto, nel discorso di apertura di M+ Henry Tang, direttore del consiglio di amministrazione del Wkcd, disse che «l’espressione artistica non è al di sopra della legge», e, un anno e mezzo dopo l’apertura trionfale di M+, le opere politiche più impattanti sono state tolte, sostituite da altre che devono «rendere visibili anche altre parti della collezione», secondo quanto detto dalla direzione del museo.

Da allora, una nuova legge sulla censura cinematografica ha messo in pericolo alcune attività della mediateca, e le mostre temporanee si concentrano su personalità cinesi che sembrano avere lo stesso ruolo delle antichità esposte al museo di Palazzo: aumentare il senso di orgoglio e appartenenza di Hong Kong a Pechino. Così, anche le ambizioni culturali di Hong Kong, messe in mostra con tanto entusiasmo e dispendio di mezzi, devono oggi fare i conti con il vento freddo che spira da nord.

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